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La sua testa veniva posizionata in luoghi riparati nelle grotte, all’interno di
          nicchie, protetto da pietre: un “altare” degno di una divinità preistorica.
          Da queste immagini e congetture, che si perdono nella preistoria della civiltà
          umana,  il  percorso  dell’orso  ha  seguito  fianco  a  fianco  la  nostra  specie,
          venendo progressivamente visto come emblema di forza selvaggia, di fiera,
          di animale demoniaco, (in questo surclassato dal lupo), ma anche emblema
          iconico cui ispirare una simbologia.
          L’orso è presente in numerosi stemmi araldici medievali e al tempo stesso
          ricorre  sovente  nella  toponomastica  e  nei  nomi  propri.  Ne  sono
          testimonianza le città di Berna, Berlino, che derivano da Beran (orso), e nomi
          medievali  come  Berengario,  Bernardo,  Bernadette.  Secondo  l’etimologia
          celtica, dalla parola Art – orso - derivano i nomi Artù, Arturo e Martino. Dal
          greco  Arktos,  Artemide  e  infine  Artemisia  –  la  figlia  dell’orso.  La  parola
          Artico indica la “terra” dell’Orsa, con riferimento alla costellazione. Oltre ai
          riferimenti lessicali, la “belva feroce”, per aspetto e dimensioni, esercitava
          una  attrazione  magnetica  nel  mondo  antico.  La  cattura  dell’orso  era  una
          pratica diffusa già dall’epoca antica sino al Rinascimento ed oltre. Animali
          vivi  venivano  impiegati  nelle  venationes,  spettacoli  gladiatorii  in  epoca
          romana o esibito nei caravanserragli dei principi. Con la captivazione iniziò
          la tendenza a sminuire il terrore che la belva esercitava nell’immaginario
          ancestrale del mondo selvatico. Fuori dal suo ambiente naturale l’animale
          appariva goffo e impacciato, incatenato, ammaestrato: esposto nei circhi e
          nelle fiere l’orso veniva reso ridicolo.
          Queste  pratiche,  tuttavia,  nascondevano  una  intima  paura  della  bestia,
          perché l’animale selvatico che si erge come un uomo attrae e terrorizza. Poter
          disporre della fiera in catene, poterla dominare attraverso queste pratiche
          che oggi giudichiamo assurde, significa smontare la sua aura di selvatico
          demone,  renderlo  inerme  e  ridicolo  come  un  clown.  Ed  un  clown  non  fa
          paura.  Da  qui  il  percorso  sino  al  simpatico  orsetto  in  peluche,  o  al
          personaggio dei cartoni animati, è breve.
          Questo  processo  di  umanizzazione  tuttavia,  che  come  giocattolo  per
          bambini può apparire innocente, o, come animale ammaestrato, evidenziare
          la  grande  crudeltà  dell’uomo,  non  fa  altro  che  travisare  la  vera  natura




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