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Ierobotanica rituale e fitonimie sacre greco-italiche


            Venere, la pianta sacra, l’Herba Veneris per eccellenza, con cui s’in-
            ghirlandavano gli stessi sacerdoti Feziali, mentre per altri l’etimo
            deriverebbe dal celtico ferfaen (fer > portar via, faen > pietra) (3). Gli
            antichi arcadi inoltre ritenevano essere stati un tempo querce,
            come nei boschi di querce, sacri a Giunone, viveva selvaggiamen-
            te un popolo forte nato appunto dai tronchi di rovere duro (Virg.,
            Aen. VIII, 314-318; 347-354). Dal frassino si credeva esser nata inve-
            ce la terza stirpe di mortali, quella di bronzo, per Esiodo (Opere e i
            Giorni, 143-156). Sono state poi numerose le varie corone auree le
            cui iconografie ripetono foglie di vari alberi, tra cui proprio la quer-
            cia, l’ulivo, l’edera, l’alloro ed il mirto, che rimasero indubbiamen-
            te tra le piante più rappresentate. Ai tempi di Romolo infatti le
            prime corone civiche si fecero proprio con le foglie del leccio (Quer-
            cus ilex) o elce (Plin., N.H, XVI, 11); impiegate nella sfera cultuale,
            militare, civica e funeraria, le corone sottendono difatti la centralità
            e l’enorme rilievo che gli alberi ebbero in ogni aspetto della vita
            dell’uomo antico: una recente indagine ne ha pertanto contestua-
            lizzato le specifiche divinità di appartenenza nel mondo etrusco,
            anche in virtù delle singole foglie rappresentate (4). Inghirlandati
            con foglie di tasso (Taxus baccata), erano i tori neri sacrificati ad
            Ecate: un albero dall’indubbia valenza infera, con cui, tuttavia -
            forse proprio per alludere al duplice simbolismo morte/immorta-
            lità – si cingevano le tempie i sacerdoti ad Eleusi; nel suo legno
            erano spesso intagliate le tavolette d’esecrazione, i simulacri e i
            bastoni dei Druidi. Due re celti degli Eburones (= uomini del tasso),
            secondo Cesare, si diedero la morte infatti avvelenandosi proprio
            con l’alcaloide diterpenico di quest’albero, la tassina, contenuto
            nelle foglie e nei semi con cui, probabilmente gli stessi Galli, per
            Strabone, avevano l’abitudine di avvelenare le loro frecce. Anche i
            toponimi antichi, come noto, riflettono l’enorme importanza sacra-
            le che gli alberi hanno sempre rivestito nell’antica geografia del
            paesaggio: il mons ed il lucus Larum Querquetulanus, il bosco sacro
            dei Lari dei querceti, la porta Querquetulana, i Querquetulani, dalla
            quercia; il Fagutal, dai faggi, l’Aesculetum, dagli ischi/querce, la val-
            lis Myrtea, dai mirti; Laurentum, i Laureta/Loreta dell’Aventino, i Lau-
            rentes, la silua e la palus Laurentina, dal lauro, così come Ficulea e
            Ficana, dai fichi e Pometia, forse, dal melograno o dal melo, come
            l’Elicona, per alcuni etimologisti, presunto monte dell’edera (Hede-


                                                            SILVÆ - Anno VI n. 13 - 263
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