Page 142 - Rassegna 3-2016
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IL TERRORISMO NELLO SCENARIO MONDIALE
è il caso del giovane canadese Andre poulin, il cui nome arabo di battaglia
corrisponde a Abu Muslim; le riprese cinematografiche ne esaltano le gesta in
battaglia, mentre una voce narrante lo accompagna al martirio.
e raccapricciante appare il sadismo di questa campagna propagandistica
che inizia a riprendere il giovane con una consapevolezza del suo destino tragi-
co da far inorridire, ad incominciare dalla sua intervista iniziale, girata in lingua
originale, ma sottotitolata in arabo(188), per impressionare altri coetanei e convin-
cerli a divenire anche loro protagonisti, aderendo ad una dimensione universale
che li trascini oltre la mediocrità delle loro esistenze senza ideali: un meccani-
smo perverso che sembra anche soddisfare il bisogno di immortalità e di noto-
rietà proprio di chi sta per trasformare un’esistenza qualsiasi in leggenda ed
esempio morale.
Così, Non c’è vita senza jihad sembra essere l’imperativo per le giovani reclu-
te e non soltanto il titolo del talent show del Califfato ove combattenti inglesi ed
australiani, poco più che ragazzi, sono i protagonisti di una spietata campagna
di propaganda.
b.7 Produzioni musicali
Se vi è la necessità di reclutare sempre un maggior numero di militanti jiha-
disti per impiegarli in teatro di guerra, è altrettanto necessario creare un’epica di
Dā‘ish, coinvolgendo i potenziali militanti attraverso una musica che sappia
evocare nell’immaginario collettivo un senso mistico di inarrestabilità ed inevi-
tabilità di un destino, oltre che un senso di appartenenza. Anche in questo caso
i generi prediletti vanno da una riscoperta del pre-moderno all’underground post-
moderno: nasheed e cadenze rap.
la propaganda jihadista ricorre diffusamente all’utilizzo dei primi, canti
tipici della cultura araba ed apprezzati in tutto il mondo musulmano; i testi sono
(188) - Cfr. Bruno BAllARDInI, ISIS il marketing dell’apocalisse, BAllARDInI & CASTolDI,
Milano, 2015, pag. 159. “Sono Abu Muslim, vostro fratello nella fede qui nello Sham. Provengo dal
Canada. Prima di convertirmi ero un canadese come tanti: seguivo l’hockey. Andavo al college nel periodo
estivo, amavo lo sport. Ero uno dei tanti canadesi prima di aver creduto (…)La vita in Canada era buona:
me la passavo bene, avevo una bella famiglia. Tuttavia la fine della giornata era pre sempre Dar-ul-kufr.
A fine giornata era come se non avessi obbedito ad Allah”.
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