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DOTTRINA




             2.  Il nuovo approccio al problema corruttivo: l’imprimatur di Merida
                  La  “destrutturazione”  della  corruzione  si  rivela  particolarmente  utile  per
             afferrarne l’essenza concettuale, celata talora dall’esoscheletro culturale, norma-
             tivo o storiografico. Assecondando questa impostazione, allora, la prevenzione
             della  corruzione,  nell’accezione  contemporanea,  ha  la  sua  culla  nella
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             Convezione UNCAC, firmata a Merida nel 2003 , la cui portata è tale da sov-
             vertire dalle fondamenta le tradizionali categorie di contenimento e contrasto
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             della questione , impostando una strategia fondata su precise direttrici (si direbbe)
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             culturali .
                  La nuova filosofia instillata nel dibattito pubblico, in buona sostanza, si
             fonda sulla consapevolezza che la corruzione, intesa solo nel senso del codice
             penale come “accordo”, sia un reato molto difficile da scoprire e quindi da
             punire: ciò avviene in ragione della propria inesorabile e trasversale illiceità, che
             azzera l’interesse dei partecipanti a fare emergere un sinallagma che, una volta
             portato  alla  luce,  provocherebbe  ripercussioni  svantaggiose  per  tutti .  Un
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             approccio basato sulla prevenzione, di contro, persegue lo scopo ambizioso di
             individuare  i  sintomi  sistemici  della  corruzione,  scandagliarli  attraverso  una
             mappatura e combatterli attraverso regole di scienza sociale.

             8    Nel novero delle fonti della disciplina nazionale del sistema di prevenzione alla corruzione,
                  accanto alle norme costituzionali campeggiano le Convenzioni internazionali che, oltre ad
                  essere in astratto immediatamente applicabili, rappresentano anche e soprattutto un parame-
                  tro ermeneutico di particolare utilità (cfr., per una rassegna, R. Cantone, Il sistema della preven-
                  zione della corruzione, Giappichelli ed., Torino, 2020, p. 3 e ss.).
             9    Ovvero la repressione penale tout court che, per lungo tempo, aveva costituito in Italia l’uni-
                  ca strategia di contrasto alla corruzione (cfr. in questo senso, tra gli altri, R. Cantone, op. cit.,
                  p. 8; M. Clarich, B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione, in B.G. Mattarella, M. Pellissero
                  (a cura di), La legge anticorruzione, Giappichelli ed., Torino, 2016, p. 61).
             10   Non a caso i principi sono enunciati in una Carta dei diritti di portata internazionale: come
                  elegantemente evidenzia F. D’Agostino (Lezioni di Filosofia del Diritto, Giappichelli ed., Torino,
                  2006, p. 242 e ss.) se il nostro tempo è il tempo dei diritti umani, questo è il portato non del-
                  l’affermazione  di  una  particolare  speculazione  filosofica,  ma  di  un  senso  etico  concreto,
                  sostanzialmente frutto delle tragiche esperienze politiche del Novecento, che solo dopo que-
                  ste ultime è riuscito ad instillarsi definitivamente nelle coscienze. Come nel caso della Carta
                  ONU che qui esegue una ricognizione dei diritti e dei doveri in tema di corruzione, ciò che
                  resta fondante e tipico del diritto internazionale post-moderno è il valore transculturale dei
                  diritti umani, che pongono come baricentro di ogni dibattito la dignità dell’uomo.
             11   Dato  appurato  dall’esperienza  comune,  ma  si  consenta  almeno  un  rinvio  dottrinale  a  F.
                  Cingari, Possibilità e limiti del diritto penale nel contrasto alla corruzione, in F. Palazzo (a cura di),
                  Corruzione pubblica, Firenze Un. Press, 2011, Firenze, p. 13, a cui si deve l’icastica espressione
                  di reati “a vittima muta”. Le ricadute di questa matrice utilitaristica sono, in prima battuta,
                  sulla stessa possibilità di misurazione del fenomeno, che non può evidentemente basarsi sulle
                  sole statistiche giudiziarie, in grado di catturare solo l’epidermide “istituzionalizzata” della
                  devianza: ci si riferisce a quei casi in cui l’azione investigativa è capace di dissipare la clande-
                  stinità in cui si perfeziona il c.d. mercimonio dell’ufficio, sfociando nell’accertamento giudi-
                  ziario. Naturalmente, regole di esperienza conducono ad un salutare scetticismo: l’iceberg
                  resta ben riparato sotto lo specchio delle acque.

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