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INSERTO




             1. La tutela dei beni culturali e il diritto internazionale umanitario
                  L’emersione dei beni culturali quale oggettività giuridica indirettamente
             tutelata dal diritto internazionale si colloca storicamente nel “diritto dell’Aja”,
             nel Regolamento annesso alla seconda Convenzione concernente le leggi e gli
             usi della guerra terrestre, stipulata il 29 luglio 1899 tra ventisei Stati al fine di
             assicurare il mantenimento della pace, la riduzione degli armamenti e la regola-
             mentazione della guerra.
                  L’art. 27, comma 1, di tale Regolamento stabiliva che «negli assedi e bom-
             bardamenti devono essere adottate tutte le misure necessarie per risparmiare,
             per quanto possibile, gli edifici consacrati al culto, alle arti, alle scienze e alla
             beneficenza, gli ospedali e i luoghi di raccolta di malati e feriti, a condizione che
             essi non siano utilizzati in pari tempo per scopi militari».
                  Quasi  vent’anni  dopo,  il  Regolamento  annesso  alla  IV  Convenzione
             dell’Aja dell’ottobre del 1907, ampliava tale catalogo con gli edifici di rilevanza
             storica e stabilendo all’art. 56 che «ogni sequestro, distruzione o danneggiamen-
             to intenzionale di istituti consacrati ai culti, alla carità, alle arti e alle scienze, e
             di monumenti storici, di opere d’arte e di scienza, è proibito e deve essere puni-
             to»; ne derivava l’obbligo per gli Stati di perseguire i responsabili delle condotte
             vietate.
                  La sedes materiae nella fonte convenzionale indicata, colloca, pertanto, la
             prima forma di tutela dei beni culturali nell’originario nucleo del diritto interna-
             zionale  umanitario,  compendiato  nelle  menzionate  Convenzioni  sottoscritte
             nella città olandese.
                  Alla  giurisdizione  del  Tribunale  militare  internazionale  istituito  nel  ‘45
             dalle  potenze  vincitrici  della  II  guerra  mondiale,  per  processare  i  principali
             responsabili  degli  orrori  commessi  nel  nome  del  Terzo  Reich,  lo  Statuto  di
             Londra attribuiva nell’ambito dei crimini di guerra la repressione del saccheggio
             di beni pubblici o privati; la distruzione immotivata di città o villaggi; la deva-
             stazione non giustificata da esigenze militari.
                  Sulla  scia  del  diritto  consuetudinario  e  della  Convenzione  dell’Aja  del
             1907, la commissione di condotte di spoliazione di beni, realizzate su una scala
             senza  precedenti  nella  storia,  assurgeva  ufficialmente  al  rango  di  crimine  di
             guerra,  come  tale  divenendo  fonte,  ex  art.  6  let.  b)  dello  Statuto  stesso,  di
             responsabilità penale personale.
                  La criminalizzazione della devastazione e del saccheggio del patrimonio
             culturale si realizzava per il tramite di una fattispecie “confezionata” ad hoc per
             non lasciare impunite le razzie di opere d’arte, effettuate con metodo scientifico
             secondo un piano concordato tra Hitler e Göring sin dal 1933, il quale preve-

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