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LA RIPRODUZIONE DEI BENI CULTURALI
TRA TUTELA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO STORICO E ARTISTICO
o etnografico (art. 1); il d.lgs. n. 490 del 1999, c.d. Testo unico dei beni culturali
e ambientali, che parimenti si occupava di «cose immobili e mobili» di interesse
artistico, storico, archeologico, o demo-etnoantropologico, oltre che di colle-
zioni, di beni archivistici e beni librari (art. 2); lo stesso Codice dei beni cultu-
rali, secondo il quale «sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi
degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etno-
antropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge
o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà» (art. 2, comma
2). Alla luce di tale assetto normativo, dottrina e giurisprudenza prevalenti
hanno costantemente sostenuto la tesi della materialità del bene culturale,
escludendo conseguentemente che la sua tutela investa anche un profilo imma-
teriale .
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La disciplina sulle riproduzioni appariva peraltro coerente con tale orien-
tamento, dal momento che essa era diretta a tutelare proprio il bene culturale
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nella sua fisicità . Così, l’art. 51, comma 1, della citata l. n. 1089 del 1939 si
occupava di riproduzione prevedendo unicamente il divieto, di regola, di trarre
calchi delle cose di interesse storico o artistico, salvo i casi espressamente auto-
rizzati «qualora le condizioni dell’originale lo consentano».
Non mancavano, ad ogni modo, alcuni puntuali interventi diretti a tutelare
diversi profili del bene culturale. Così, il R.D. n. 798 del 1923 regolava la ripro-
duzione, mediante fotografie, di cose immobili e mobili di interesse storico,
archeologico, paletnologico e artistico “di pertinenza dello Stato, ovvero custo-
dite negli Istituti artistici governativi”, prevedendo la necessità di fare domanda
al sovrintendente dei Monumenti o delle Gallerie o dei musei o ai direttori di
tali istituti. Analogamente, l’art. 5 della l. n. 340 del 1065 per l’esecuzione di
fotografie negli Istituti statali di antichità e d’arte aveva previsto la necessità di
chiedere il permesso al soprintendente o al capo dell’Istituto. Successivamente,
la materia è stata oggetto di più organica sistematizzazione, dapprima ad opera
del d.lgs. n. 490 del 1999 , poi da parte dello stesso Codice dei beni culturali,
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che ha considerato ipotesi di riproduzione ulteriori rispetto a quelle di carattere
strettamente materiale, evidenziando la rilevanza di un diverso profilo del bene
culturale, di carattere, appunto, immateriale.
9 Cfr. F.S. Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, 2002, 46 ss. e S. Mabellini, La
tutela dei beni culturali nel costituzionalismo multilivello, Torino 2021, 33 ss. ai quali si rinvia per
ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali. Per la diversa tesi secondo la quale il bene cul-
turale sarebbe un bene immateriale, v. M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl.,
1976, 24 ss.
10 Cfr. L. Casini, Riprodurre il patrimonio culturale? I «pieni» e i «vuoti» normativi, cit.
11 Art. 115 del d.lgs. n. 490 del 1999.
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