Page 50 - Rassegna 2024-1-Inserto
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INSERTO




             di nuove, la velocità oggi imposta alla procedura rischia di burocratizzare l’am-
             bito del contrasto alla violenza di genere sia per la carenza di organici che per
             una serie di altri problemi legati all’organizzazione ed alla formazione di tutti gli
             operatori.
                  L’esperienza maturata evidenzia come fondamentali i seguenti mezzi di
             contrasto:
                    la corretta raccolta e l’attenta valutazione di fatti;
                    la tempestiva individuazione dei fattori di rischio;
                    la veloce adozione delle misure cautelari a salvaguardia della persona
             offesa.
                  Innegabilmente del complesso normativo esistente, della responsabilità di
             procedere celermente e dell’onere di interpretare correttamente i segnali della
             violenza, è investita la Polizia Giudiziaria ed in particolare quegli operatori che
             per destinazione di impiego sono deputati ad avere “il contatto” con le parti
             offese, persone che si presentano con le loro storie, la propria identità e le mol-
             teplici paure.
                  I registri di comunicazione degli operatori, spesso stereotipati e minati da
             inconsapevole pregiudizio, risultano molto inadeguati al punto tale da frapporre
             con la “vittima” una barriera insuperabile, che non consente di cogliere i segnali
             lanciati dalla p.o. - veri indicatori della violenza patita - di cui molto spesso l’in-
             teressata non è ancora cosciente.
                  Si aggiunga che nella maggior parte dei casi la vittima dovrà denunciare
             fatti che riguardano la persona a cui è legata da una “relazione” (qualunque essa
             sia), nei cui confronti ha nutrito o nutre ancora un sentimento, o a cui è legata
             per motivi di parentela o amicizia sia pure da conoscenza. Nella maggior parte
             dei casi la donna riporta: “è colpa mia” - “me ne sarei dovuta rendere conto” -
             “ho sperato che potesse cambiare” - “non è così ma quando si arrabbia/beve/si
             droga...” assumendosi responsabilità che non ha, ma che generano in lei il dub-
             bio se denunciare sia effettivamente la cosa migliore da fare.
                  La disinformazione e il timore di aggravare la situazione, spingono la vittima
             a tollerare ad oltranza sino addirittura costringerle ad accettare quella condizione
             di sottomissione, come unica possibilità esistente: “tanto non c’è nulla da fare”.
                  Questa  disperazione  produrrà  come  conseguenza  l’isolamento  della
             donna che sarà risucchiata dal vortice in cui la ricerca di strategie di sopravvi-
             venza e la difesa degli affetti primari non lascia spazio ad ipotesi di salvezza.
                  La Vittima di violenza non reagirà a questo stato di prostrazione, se non
             quando sarà messa in pericolo l’incolumità o la salute dei figli o dei propri cari,
             o dinanzi ad un concreto ed incombente pericolo di vita.

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