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DOTTRINA




             1.  La qualificazione penale delle sanzioni amministrative nella CEDU
                  Le  sanzioni  amministrative,  quali  conosciute  nell’ordinamento  italiano,
             sono sostanzialmente penali, ai sensi della autonoma definizione della materia
             penale elaborata dalla CEDU .
                                         (1)
                  Ciò vale almeno per tutte le sanzioni amministrative pecuniarie. Da quelle,
             più rilevanti, delle Autorità amministrative indipendenti, a quelle minori, per
             illeciti stradali.In particolare, non si richiede una specifica gravità della sanzione.
             Coerentemente con il carattere alternativo (e non cumulativo) dei criteri Engel ,
                                                                                       (2)
             è sufficiente la finalità afflittiva, indipendentemente dall’intensità, dal quantum,
             di tale afflittività.
                  Lo ha detto, fin dal 1984 (con insegnamento costantemente ripetuto), la
             Corte EDU nell’occuparsi di modeste sanzioni per violazione del Codice della

             (1)   Mi permetto di rimandare, sul punto, a F. Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni
                  amministrative,  tra  diritto  nazionale  ed  europeo,  Torino,  2018.  Segnalo  poi  l’ampia  e  ragionata
                  dimostrazione della necessità costituzionale di uno status peculiare della sanzione punitiva
                  delineata da D. Simeoli, Le sanzioni amministrative punitive tra diritto costituzionale ed europeo, in Riv.
                  Reg. Mercati, 2022. Sempre fondamentale, poi, M. Allena, Art. 6 CEDU. Procedimento e processo
                  amministrativo, Napoli, 2012.
             (2)   Corte  eur.  dir.  uomo,  Plenaria,  8  giugno  1976,  caso  n.  5100/71,  Engel  and  Others  v.  the
                  Netherlands, §§81 e 82: «La Convenzione indubbiamente consente agli Stati, nell’esercizio
                  della loro funzione di custodi del pubblico interesse, di mantenere o stabilire una distinzione
                  tra di-ritto penale e diritto disciplinare, e di determinare il relativo confine, ma solo a certe
                  condizioni. La Convenzione lascia gli Stati liberi di designare come un illecito penale un’azio-
                  ne o un’omissione che non costituisca normale esercizio di uno dei diritti da essa protetto.
                  Ciò è reso particolarmente chiaro dall’art. 7. Tale scelta, che ha l’effetto di rendere applicabili
                  gli artt. 6 e 7, non è, in linea di principio, soggetta a scrutinio da parte della Corte. L’opposta
                  scelta è tuttavia soggetta a più stringenti li-miti. Se agli Stati contraenti fosse concesso di clas-
                  sificare a loro discrezione un illecito come disciplinare invece che penale, o di perseguire l’au-
                  tore di un illecito di carattere misto sul piano disciplinare invece che penale, l’applicabilità di
                  disposizioni fondamentali quali gli artt. 6 e 7 risulterebbe subordinata alla loro volontà sovra-
                  na. Una tale ampia possibilità di scelta risulterebbe incompatibile con gli obiettivi e il conte-
                  nuto della Convenzione. La Corte dunque, ai sensi degli artt. 6 nonché 17 e 18, ha compe-
                  tenza a stabilire da sé se la materia disciplinare non invada in realtà la sfera del penale. In
                  breve, l’autonomia del concetto di penale opera a senso unico [...] In tale prospettiva, occorre
                  anzitutto sapere se le previsioni che definiscono l’illecito in questione appartengono, secon-
                  do il sistema legale dello Stato resistente, alla sfera del diritto penale, disciplinare o entrambi
                  assieme. Ciò tuttavia non rappresenta che un punto di partenza. Le indicazioni così fornite
                  hanno solo un valore formale e relativo e vanno esaminate alla luce di un comune denomi-
                  natore ricavabile dalle legislazioni dei vari stati contraenti. La natura intrinseca dell’illecito è
                  un fattore di maggior importanza. Quando un militare si ritrova accusato di un atto o di
                  un’omissione che in tesi violano le regole che governano l’attività delle forze armate, lo Stato
                  può in linea di principio impiegare contro di lui il diritto disciplinare invece che quello penale.
                  Sotto questo profilo, la Corte concorda con il Governo. Tuttavia, il sindacato della Corte non
                  si ferma qui. Tale sindacato risulterebbe in linea generale illusorio se non prendesse anche in
                  considerazione il livello di severità della sanzione che l’accusato rischia di subire. In una
                  società conformata al principio di legalità, appartengono alla sfera del diritto penale tutte le
                  privazioni della libertà che siano applicate quali san-zioni, con l’eccezione di quelle che per
                  natura, durata o modalità di esecuzione non siano significativamente afflittive [...]».

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