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L’ESERCITO SILENTE





                       Maria racconta inoltre di come, nell’immediatezza dell’evento, abbia
                  provato  incredulità,  ma  anche  speranza  e  ottimismo  nei  confronti  di
                  un’eventuale risoluzione immediata della vicenda: tutta la famiglia, infatti,
                  inizialmente aveva creduto all’ipotesi (già insinuata dal Logli nella denuncia
                  di scomparsa), allora considerata, di un incidente domestico con relativa
                  perdita di memoria. Tuttavia, tale ottimismo col tempo andò sempre più
                  a  deteriorarsi,  soprattutto  una  volta  realizzato  che  probabilmente  a
                  Roberta era accaduto qualcosa di grave ed irreparabile; questa ipotesi ha
                  iniziato a farsi strada quando “il castello di bugie messo in atto dal marito di mia
                  cugina, unico indagato, andava a sgretolarsi”. Inizialmente, Maria ritiene di aver
                  messo in atto il meccanismo di difesa della negazione; a tal proposito
                  dichiara: “stentavo a credere che, nel caso in questione, il marito di mia cugina, da
                  me conosciuto e frequentato un poco quando eravamo ragazzi, apprezzato e stimato
                  da tutta la famiglia, potesse aver avuto una doppia vita: aveva un’amante da più di
                  sette anni all’epoca della scomparsa di mia cugina”.
                       Gli inquirenti, durante le indagini, hanno ascoltato in primo luogo i
                  parenti di Roberta Ragusa che vivevano a Pisa e a Lucca; solo successiva-
                  mente, dopo due anni dalla scomparsa, la sig.ra Ragusa è stata ricevuta,
                  insieme al resto della famiglia. Alla luce di ciò, la donna ritiene che ai fini
                  delle  ricerche  sia  fondamentale  ascoltare  amici/familiari  della  persona
                  scomparsa il prima possibile, affinché non si perda la nitidezza dei ricordi:
                  “non si deve dare la possibilità di trincerarsi dietro ai vari “non ricordo” di chiunque”.
                  Infine, sarebbe opportuno che coloro i quali si adoperano per la ricerca
                  della verità abbiano adeguate competenze psicologiche, data la delicatez-
                  za situazionale.
                       Attualmente, il rimpianto dei familiari di Roberta è quello di non
                  essere stati depositari delle sue confidenze che, forse, le avrebbero salvato la vita, in
                  quanto sarebbero state utili ai fini del procedimento.

















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