Page 16 - Rassegna 2020-1-Supplemento
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PANORAMA DI GIUSTIZIA MILITARE
La Suprema Corte, raccogliendo l’assist offerto dal caso alquanto originale
(che nell’economia del presente discorso non è necessario ricostruire con ulte-
riori dettagli), nella parte argomentativa della decisione svolge alcune osserva-
zioni che potrebbero apparire (ma non lo sono) disallineate rispetto agli arresti
sopra riportati. Il passaggio motivazionale è il seguente: «… la “mancata auto-
rizzazione”, nella logica che caratterizza il rapporto gerarchico e militare -
improntato a rigore formale, in funzione della tutela del grado e della respon-
sabilità ad esso connessa, per le decisioni relative, anche al fine di assicurare il
regolare svolgimento delle servizio e delle attività militari - equivale al divieto
del comportamento non autorizzato».
I giudici di legittimità dicono, in altri termini, che il dovere di obbedienza
penalmente tutelato può venire in luce anche in forma mediata, ossia come
divieto di tenere una certa condotta se non previa autorizzazione.
Alla luce di una siffatta affermazione di principio, potrebbe ritenersi che
qualsiasi condotta posta in essere senza la prescritta autorizzazione configuri il
reato di disobbedienza. In realtà non è così o, almeno, non sempre.
Nel caso di specie i giudici di legittimità non si sono posti il problema né
della fonte né dell’esistenza stessa dell’obbligo della previa autorizzazione, ossia
se vi fosse in tal senso una disposizione e di quale tipo.
L’accertamento di tali profili è stato, di fatto, integralmente demandato al
giudice del rinvio. Intendimento dei giudici di legittimità era, invece, solo quello
di affermare il principio secondo cui “non autorizzare” equivale a “vietare”.
Entrambe queste speculari forme di manifestazione di volontà, però,
possono essere considerate alla stregua di un ordine sempre e soltanto quando
sono espresse nell’ambito di un rapporto gerarchico tra superiore e subordina-
to e con riferimento ad una condotta ben individuata nella sua peculiare spe-
cificità.
In altri termini (e l’assunto, pur non affermato, non è di certo smentito
dal pronunciamento della Cassazione) la “mancata autorizzazione”, per essere
assimilabile a un divieto e, quindi, a un ordine nell’accezione fatta propria dal-
l’art. 173 c.p.m.p., deve concretizzarsi in un esplicito “diniego di autorizzazio-
ne” opposto dal superiore al subordinato con riferimento ad una condotta
determinata.
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