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La “mancata autorizzazione” a tenere un certo comportamento può
costituire il presupposto del reato di disobbedienza:
qualche necessaria precisazione
Nota a Cassazione, Sezione I, 13 luglio/26 ottobre 2016, n. 45187
Dottor Antonio SABINO
Il dovere di obbedienza e il correlativo reato che scaturisce dalla sua vio-
lazione costituiscono notoriamente il cardine intorno al quale ruota qualsiasi
organizzazione militare.
Sullo sfondo si staglia il grande tema della disciplina militare, così come
sviluppatosi alla luce dei principi costituzionali di legalità e di democraticità, che
devono informare l’ordinamento delle Forze armate (art. 52 Cost.).
Pur restando radicata ai suoi profili etici, che ne costituiscono l’humus cul-
turale, è ormai acquisito che la disciplina militare ha assunto una fisionomia che
vede nel collegamento inscindibile con il servizio le sostanziali ragioni di una
tutela che si spinge sino a quella di tipo penale proprio in virtù del rilievo costi-
tuzionale degli interessi in gioco.
In questo scenario viene a collocarsi il reato di disobbedienza di cui all’art. 173
del Codice Penale Militare di Pace.
La sentenza in commento offre lo spunto per una riflessione su alcuni
peculiari aspetti relativi alle caratteristiche formali e sostanziali che deve posse-
dere l’ordine gerarchico per essere preso in considerazione quale oggetto di
tutela da parte del diritto penale militare.
Molto schematicamente e in via preliminare si può ritenere ormai acquisi-
to quanto segue.
È noto che l’ordine deve provenire da un soggetto che si trovi in una posi-
zione di sovraordinazione gerarchica o per il grado rivestito o perché portatore
di una funzione di comando.
Può essere intimato in qualsiasi forma, anche per interposta persona, ma
deve in ogni caso essere oggettivamente tale da non ingenerare dubbi in ordine
alle modalità e ai tempi della sua esecuzione.
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