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PANORAMA DI GIUSTIZIA MILITARE
Nei casi in cui si è pervenuti a decisioni liberatorie, le motivazioni erano
legate o alla riconosciuta carenza dell’elemento psicologico, come lucidamente
esposto in un caso specifico dalla Suprema Corte o alla mancanza di un ordine
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espresso di sottoscrivere l’atto.
Più complessa risulta la situazione nei casi in cui la comunicazione, in rela-
zione alla quale si verifica il rifiuto di sottoscrizione, riguarda l’irrogazione di
sanzioni disciplinari. Sul punto specifico la giurisprudenza ha manifestato una
significativa divergenza di opinioni, della quale è opportuno dare conto, in atte-
sa di un auspicato futuro chiarimento.
Fino ad un recente passato, gli arresti della Suprema Corte erano sicura-
mente orientati verso l’affermazione della attinenza al servizio e alla disciplina
dell’eventuale ordine impartito al soggetto che manifestava l’intenzione di non
firmare. In particolare la sentenza della Prima Sezione, in data 5/28 febbraio
2008, n. 8987, richiamando anche precedenti decisioni, aveva affermato, sotto la
vigenza del Regolamento di Disciplina di cui al DPR n. 545/1986, che la previ-
sione della forma scritta per la comunicazione all’interessato del provvedimento
conclusivo (art. 64, comma 2, del Reg. Disc. del 1986) legittimasse “… la prova
scritta della presa d’atto da parte dell’interessato” e ciò nonostante lo svolgimen-
to del procedimento disciplinare fosse caratterizzato dal principio di oralità.
In particolare, secondo la Corte, non è pertinente l’osservazione che il
rifiuto di sottoscrizione, come per la notifica degli atti processuali, non blocca
l’iter, dovendosi dare rilievo alla circostanza che: “nel caso della disciplina mili-
tare, dove è generalizzato l’obbligo di obbedienza all’ordine legittimo del supe-
riore, la diversa scelta legislativa, cui deve ovviamente seguire l’invito a sotto-
scrivere la comunicazione della punizione inflitta, si pone come funzionale
(rispondendo così al requisito di legittimità costituzionalmente imposto, come
giustamente evoca la decisione impugnata) e attinente al servizio, tutelando
anche l’interesse del militare punito, il cui fascicolo personale viene ad introitare
l’atto”.
Tale essendo lo stato della giurisprudenza fino al recente passato, la Prima
Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza in data 8 novembre 2017/15
gennaio 2018, n. 1522, ha ritenuto di ribaltare il precedente orientamento.
(5) Cass., Sez. I, 2/19 dicembre 2008, n. 52957.
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