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PANORAMA DI GIUSTIZIA MILITARE



                  Altri autori hanno dato della norma una diversa interpretazione, preferen-
             do riconoscere un contenuto sostanziale al riferimento, contenuto nell’art. 166,
             alle “altre cose destinate a uso militare”, così da ricomprendere all’interno dei
             confini  della  previsione  normativa  tutti  gli  oggetti  aventi  tale  destinazione,
             ancorché non affidati individualmente al personale militare . Ne consegue che
                                                                     (5)
             il richiamo agli art. 164 e 165, peraltro come suggerito anche dalla lettera della
             norma, sarebbe effettivamente limitato al solo aspetto sanzionatorio, venendosi
             a determinare, ai fini della individuazione della pena da applicare, una sorta di
             una summa divisio tra le condotte che hanno ad oggetto armi e munizioni e
             quelle riguardanti tutte le altre cose destinate a uso militare.
                  A nostro avviso appare preferibile la prima interpretazione perché diversa-
             mente opinando il raggio d’azione del reato di ritenzione sarebbe talmente ampio
             da comprendere anche oggetti che, benché utilizzati dalle Forze armate, non pos-
             seggono univoca destinazione all’uso militare; si pensi, ad esempio, alle ordinarie
             suppellettili da ufficio o agli strumenti informatici in libero commercio. Peraltro
             la Cassazione ha esplicitamente rilevato che il reato “presuppone una tradizio con
             obbligo di restituzione” e, quindi, che abbia ad oggetto beni che, quanto meno in
             via potenziale, siano suscettibili di affidamento al singolo militare .
                                                                          (6)
                  Restando in argomento, è possibile ancora osservare che, nella descrizione
             dell’oggetto materiale del reato, il legislatore ha introdotto due singolari ele-
             menti strutturati in chiave negativa, e cioè che gli oggetti non siano “muniti del
             marchio o del segno di rifiuto” e che il soggetto attivo non possa dimostrare
             che essi “abbiano legittimamente cessato di appartenere al servizio militare”.
             Ne consegue che, qualora vi siano elementi per ritenere che si tratti di cose
             destinate ad uso militare, salvo i casi in cui esse rechino su di loro la prova tan-
             gibile  della  cessata  appartenenza  al  servizio  militare,  sarà  onere  dell’agente
             dimostrare in concreto tale ultima circostanza.
                  Ciò dimostra ancora una volta l’indiscussa natura della fattispecie di cui
             trattasi  quale  reato  contro  il  servizio  militare ,  osservazione  che  costituisce
                                                          (7)

             (5)  Sul  Punto:  LANDI,  VEUTRO,  STELLACCI,  VERRI,  Manuale  di  diritto  e  procedura  penale  militare,
                  Giuffrè,  1976,  pag.  405.  In  proposito  è  anche  opportuno  rammentare  che  la  Corte  di
                  Cassazione, Sez. I, nella sentenza n. 33833/2019, cit., richiamando sue precedenti decisioni,
                  ha individuato il bene giuridico protetto dalla norma: “nell’interesse generale al regolare svol-
                  gimento del più volte evocato servizio militare, inteso come complesso di attività preordinate
                  all’assolvimento del compito fondamentale della difesa del territorio nazionale (Cass., Sez. I,
                  3 aprile 1995, Tanzi, rv. 201509; anche, Sez. 1, n. 5982 del 16/03/2000, Lupi, Rv. 216017)”.
                  Evidente, nell’ottica dei giudici di legittimità, l’estensione dell’interesse protetto a tutte le atti-
                  vità di servizio e, quindi, a tutti i beni ad esse strumentali, soprattutto armi e munizioni,
                  ancorché non suscettibili di costituire dotazione personale del singolo militare.
             (6)  Cass. Sez. I, 15.03.2016/23.09.2016, n. 39709.
             (7)  Si veda in proposito la giurisprudenza citata nella nota precedente.

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