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IL REATO DI ACQUISTO O RITENZIONE DI EFFETTI MILITARI (ART. 166 C.P.M.P.)



                     In realtà le cose stanno diversamente. Infatti, se bisogna dare un senso alle
               norme precettive in termini di loro concreta operatività, il fatto che il reato di
               ritenzione  possa  essere  commesso  anche  da  un  soggetto  non  militare  (così
               come esplicitamente e insuperabilmente previsto dal dato normativo) comporta
               che il significato “giuridico” da attribuire agli strumenti lessicali utilizzati dal
               legislatore deve necessariamente discostarsi, almeno in certa misura, da quello
               comunemente in uso. Infatti, sia la dottrina che la giurisprudenza si sono da
               sempre orientate a dare al termine “ritenere” il mero significato di “possedere
               arbitrariamente”, ossia di “avere presso di sé”, a prescindere dalle modalità con
               cui ha avuto origine il possesso dell’oggetto materiale del reato .
                                                                            (3)
                     Con riguardo alla condotta di ritenzione, quindi, la provenienza delle cose
               oggetto del reato risulta essere un elemento del tutto estraneo alla tipicità della
               fattispecie e ciò disvela la particolare natura, quasi “residuale”, del reato, nel
               senso che, ove dovesse accertarsi che il possesso arbitrario sia scaturito da un
               atto illecito di appropriazione o di impossessamento ovvero che le cose ritenute
               siano provenienti da altro reato diverso dalla alienazione di cui agli artt. 164 e
               165, verrebbero alla luce gli elementi costitutivi dei correlativi reati contro il
               patrimonio quali, a seconda dei casi, l’appropriazione indebita o il furto o la
               ricettazione, con conseguente necessità di stabilire in quale rapporto questi ulti-
               mi si pongono con il reato di ritenzione.
                     Prima di affrontare questo aspetto è necessario, però, definire più puntual-
               mente su quali cose la condotta di ritenzione debba esplicarsi perché si possa
               configurare l’elemento oggettivo del reato di cui trattasi, dovendosi, ancora una
               volta, leggere il testo dell’art. 166 in raffronto con quello degli artt. 164 e 165.
               L’art. 166, infatti, di per sé offre una definizione dell’oggetto materiale del reato
               - oggetti di vestiario, equipaggiamento o armamento militare o altre cose desti-
               nate a uso militare - che appare di portata onnicomprensiva, tanto da potenzial-
               mente includere tutti i beni che sono in concreto utilizzati dalle Forze armate
               per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali.
                     Sia l’art. 164 che il 165, invece, come si è già in precedenza notato, offrono
               una nozione dai confini più ristretti, il che ha indotto parte della dottrina a rite-
               nere che possano costituire oggetto materiale della ritenzione esclusivamente le
               cose appartenenti alla categoria dei beni considerati dai due articoli citati, ossia
               gli oggetti affidati al militare come costituenti l’armamento in dotazione o il
               proprio equipaggiamento .
                                        (4)
               (3)   Per il passato si possono ricordare: in dottrina R. Venditti, Op. cit. pag. 186; in giurispruden-
                     za: T.S.M., 12 giugno 1970, RONCHI, in GIUST. PEN. 1972, II, 368. Più di recente: Cass. Sez.
                     I, 8.07.2015/15.09.2015, n. 37297 e, da ultimo, Cass. Sez. I, 6.06.2019/10.10.2019, n. 41636.
               (4)   In tal senso: BRUNELLI-MAZZI, Op. Cit., pag. 315.

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