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FALSO IN BILANCIO E FALSE COMUNICAZIONI SOCIALI



                     Questa sorta di comune denominatore, tra norme diverse, diventa ancora
               più  certo,  definito  e  solido  tenendo  presente  che  l’art.  25-ter  del  D.Lgs.
               231/2001, titolato ai “Reati Societari”, richiama in maniera esplicita come in
               materia di reati societari si applichino all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
                     a)per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall’articolo 2621 del
               codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote;
                     a-bis)  per  il  delitto  di  false  comunicazioni  sociali  previsto  dall’articolo
               2621-bis del codice civile (ovvero fatti di lieve entità), la sanzione pecuniaria da
               cento a duecento quote;
                     b)per il delitto di false comunicazioni sociali previsto dall’articolo 2622 del
               codice civile, la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote.
                     In argomento vi sono più correnti di pensiero e, tra le tante, la più sugge-
               stiva è quella che - poiché le false comunicazioni sociali potrebbero integrare la
               commissione di reati tributari - se l’ipotesi delittuosa è stata posta in essere per
               una esclusiva finalità tributaria allora sembrerebbe configurarsi unicamente la
               sola “frode fiscale”. Mentre, qualora non sussista la finalità di consentire a terzi
               l’evasione, in tal caso si qualifica solamente il reato societario che, peraltro, è
               compiutamente ricompreso nel dispositivo della 231, come spesso semplicisti-
               camente viene definita.
                     Indipendentemente da tale interpretazione - e pur nelle evidenti connes-
               sioni e interdipendenze tra norme - diventa rilevante segnalare la natura ben
               diversa del D.Lgs. 231/2001 rispetto al Codice Civile; “anima” che, a parere
               dello scrivente, è tale da palesare una finalità del Legislatore decisamente inno-
               vativa e diversa da quella che può risultare dalla semplice e pedestre lettura del-
               l’art. 25-ter.
                     Una lettura coordinata, tra l’art. 5 ed i successivi del medesimo disposto,
               dimostra che l’intento del Legislatore sia infatti quello della prevenzione dei
               reati, in una sorta di tentativo di combinare la cultura della legalità alla cultura
               del controllo e non quale semplice intento filosofico. Tant’è che la 231 dispone
               l’esimenza, o l’esonero, dalla responsabilità dell’ente se è provata l’efficienza
               organizzativa come disposto dall’articolo 6 della norma in oggetto.
                     Tale scelta significa di fatto avere avviato un percorso di prevenzione dei
               reati attraverso la valorizzazione di una sorta di premialità, anziché il rincorrere

                     b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggior-
                     namento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e
                     di controllo;
                     c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizza-
                     zione e di gestione;
                     d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).
                     Omissis.

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