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DOTTRINA



             bilancio sia tale da alterare la percezione dei lettori del bilancio circa la più gene-
             rale situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società.
                  La distinzione in oggetto crea una perimetrazione adeguata a quelli che
             sono i profili di falsi quali-quantitativi con cui i bilanci sono da ritenersi l’espres-
             sione non veritiera ed alterata degli andamenti gestionali e dei loro effetti patri-
             moniali-finanziari non solo in via endogena per l’impresa, ma anche esogena.
                  La Cassazione, per certi versi, viene in soccorso al Codice Civile il quale,
             in argomento, può ritenersi alquanto carente poiché non qualifica in maniera
             incontrovertibile ed inconfutabile il falso in bilancio, e quindi le comunicazioni
             che lo riguardano, se non con l’individuazione della “consapevole esposizione
             di fatti materiali non rispondenti al vero ovvero l’omissione di fatti materiali
             rilevanti”. È infatti evidente che l’allocazione o l’omissione possono riguardare
             in toto per la prima azione l’inserimento di costi inesistenti, per la seconda azio-
             ne la non contabilizzazione di ricavi invece esistenti; occorre però precisare che
             i costi come i ricavi possono essere non veritieri non solo perché vi concorre
             l’allocazione integrale di componenti negativi reddito inesistenti o l’omissione
             di componenti positivi di reddito invece esistenti, bensì anche nel caso in cui
             non vengono usati correttamente i metodi estimativi corretti così come previsti
             dalla norma; oppure, da ultimo, perché la valorizzazione delle quantità oggettive
             sottostanti a costi e ricavi è comunque errata, perché alterata, pur in presenza
             di un metodo estimativo corretto, situazione tale per cui l’esito del valore risulta
             falsato.
                  Comunque vadano le cose il falso è posto in essere al fine di perseguire un
             vantaggio, aspetto che è ben posto in evidenza nella formulazione sia dell’art.
             2621 sia dell’art. 2622, ove in entrambi gli articoli si enuncia l’esposizione inve-
             ritiera come resa “al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto”.
                  In quel “conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto ” si può riscon-
             trare una similitudine tecnica con il contenuto dell’art. 5 del D.Lgs. 231/2001
             in cui si identifica l’ente (ovvero la società) quale soggetto “responsabile per i
             reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono
             funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, (omissis,) nonché
             da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stes-
             so”, fatto salvo che l’ente sia in grado di dimostrare quanto previsto dal suc-
             cessivo art. 6  del medesimo dispositivo.
                         (3)
             (3)  Art. 6 - Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente.
                  1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a),
                  l’ente non risponde se prova che:
                  a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto,
                  modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

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