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LA RILEVANZA PENALE DEL RIFIUTO DI SOTTOSCRIVERE PER PRESA VISIONE LE
                    COMUNICAZIONI RIGUARDANTI LA DOCUMENTAZIONE CARATTERISTICA



               veniente da un superiore gerarchico”, ma solo “l’ordine funzionale e strumen-
               tale alle esigenze del servizio o della disciplina, e comunque non eccedente i
               compiti di istituto” dovendosi ritenere che “la tutela apprestata dalla norma
               censurata non è il prestigio del superiore in sé e per sé considerato, ma il cor-
               retto funzionamento dell’apparato militare, in vista del conseguimento dei suoi
               fini istituzionali, così come puntualmente messo in rilievo da quella giurispru-
               denza di legittimità e di merito che ha sottolineato che l’ordine deve sempre
               avere fondamento nell’interesse del servizio o della disciplina e non può trovare
               causa in pretese di carattere personale o in contrasti di natura privata tra supe-
               riore e inferiore”.
                     Partendo da tali premesse la Cassazione esplicitamente ritiene superati i
               principi affermati dalla precedente giurisprudenza (indicando esplicitamente,
               per  contraddirla,  la  decisione  n.  8987/2008)  rilevando  che  le  disposizioni
               contenute  nella  normativa  in  materia  e,  in  particolare,  nell’art.  1398  del
               Codice dell’Ordinamento Militare, avessero modificato il precedente quadro
               normativo, con la conseguenza che “l’ordine di sottoscrizione per presa visio-
               ne non era, nel caso ora in esame, funzionale e strumentale alle esigenze del
               servizio o della disciplina, attenendo ad un atto avente natura endoprocedi-
               mentale”.
                     Il mutato orientamento della Suprema Corte, invero, appare fondato su
               una ricostruzione poco convincente del dato normativo.
                     Come  si  è  avuto  modo  di  evidenziare  in  precedenza,  infatti,  il  Codice
               dell’Ordinamento Militare ha di fatto recepito senza sostanziali modifiche la
               disciplina  contenuta  nel  Regolamento  di  Disciplina  Militare  del  1965,  conti-
               nuando a disporre che al trasgressore sia comunicato per iscritto il provvedi-
               mento contenente la motivazione.
                     La decisione, quindi, appare fondata su di una inesistente modifica nel
               tempo delle disposizioni che regolano le modalità di comunicazione all’interes-
               sato delle sanzioni disciplinari e, come prevedibile, ha attirato puntuali e ben
               motivate critiche.
                     In particolare, la Corte Militare d’Appello, con la sentenza in data 18
               aprile 2018, n. 34 (estensore il Presidente Giuseppe Mazzi) ha evidenziato sia
               l’omogeneità del quadro normativo di riferimento rispetto a quello in vigore
               al momento della precedente sentenza n. 8987/2008, sia che la decisione della
               Corte Costituzionale n. 39/2001 non aveva in sé alcuna portata innovativa, in
               quanto i principi in essa affermati, con riguardo agli obiettivi di tutela dell’art.
               173  c.p.m.p.,  corrispondevano  ad  un  orientamento  della  giurisprudenza
               molto risalente nel tempo, così come riconosciuto dagli stessi giudici costitu-
               zionali.


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