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CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA




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                                                                         il Bresci disse: “Io



                                                                              non ho ucciso
            L’attentato  che  costò  la  vita  ad  Umberto  I  non  fu
            l’unico organizzato nei suoi confronti. Già in passato il
                                                                                Umberto. Io
            re era scampato all’azione criminale di altri attentatori.

                      NAPOLI 17 NOVEMBRE 1878
            Re Umberto si trovava sulla carrozza reale assieme                ho ucciso il re,
            alla moglie, la regina Margherita di Savoia, al figlio
            Vittorio Emanuele e al capo del governo Benedetto                  ho ucciso un
            Cairoli. Il cocchiere a fatica faceva avanzare la fami-
            glia reale tra la folla festante, quando un anarchico,
            Giovanni Passannante di Salvia di Lucania (dal 1878                    principio”
            ridenominata Savoia di Lucania come “gesto ripara-
            torio” rivolto alla dinastia reale), favorito dal tram-
            busto, vi saltò sopra con un coltello cercando di as-   all’età di 61 anni. Il 18 novembre, giorno successivo
            sassinarlo. Passannante sferrò diversi colpi, ma il re  all’attentato, il re e la regina avrebbero dovuto viag-
            si difese rimediando una lieve ferita al braccio. Cairoli  giare in treno sulla tratta Napoli-Foggia. L’Arma dei
            affrontò l’attentatore e venne ferito alla gamba. La    Carabinieri aveva pertanto preparato un dispositivo
            confusione terminò con il sopraggiungere dell’uffi-     di sorveglianza su tutta la tratta ferroviaria (già dal
            ciale dei corazzieri che comandava la scorta, il Capi-  giorno 12) con l’ausilio di alcune guardie doganali.
            tano Stefano De Giovannini, che travolse l’attenta-     Durante l’attività di vigilanza una pattuglia formata
            tore ferendolo alla testa. L’evento infiammò rivolte    da un carabiniere e una guardia si accorse che sulla
            di piazza pro e contro l’aspirante regicida che porta-  ferrovia, tra “la strada cantoniera 346 e 348”, era caduto
            rono anche a scontri sanguinosi con le forze dell’or-   un palo telegrafico con ancora i fili attaccati. Visto
            dine.  Dai  documenti  custoditi  al  Museo  Storico    l’imminente transito del treno che trasportava i reali,
            dell’Arma dei Carabinieri, si evince come già la sera   i due militari si affrettarono a spostare il traliccio. Si
            dell’attentato, a Roma e a Firenze ci furono violente   legge nel verbale:“… tentarono di alzarlo ed impedire
            manifestazioni  ed  esplosioni  di  ordigni,  e  come  in  almeno la rottura dei fili telegrafici…” accorsi alcuni
            tutte  le  città  italiane  la  popolazione  indignata  dal  operai della casa cantoniera più vicina, riuscirono ad
            gesto  di  Passannante  scese  in  piazza  chiedendo  la  “… assicurare il palo proprio al momento in cui stava
            morte del reo. I documenti in questione sono redatti    per  passare  il  treno…” evitando  il  deragliamento  di
            dagli uffici dei CC.RR competenti per territorio. Ol-   quest’ultimo. Non si sa se sia stato un altro tentativo
            tre a tali atti vi è custodito il verbale di perquisizione  di attentare alla vita del re o semplicemente un inci-
            eseguita nella casa dell’attentatore nei confronti dei  dente in quanto, sempre dalla lettura degli atti, risulta
            suoi familiari, dai CC.RR. di Bari, allora competenti   che  il  treno  del  14  novembre  passò  in  quel  punto
            per il territorio della provincia di Potenza. Il processo  senza problemi.
            dichiarò colpevole Passannante, che dovette scontare    Fu coinvolto in un attentato anche il figlio di Umberto I.
            la pena dell’ergastolo con l’aggiunta dell’isolamento   Il  14  marzo  1912  a  Roma  un  anarchico,  Antonio
            perpetuo.  La  dura  condizione  detentiva  scatenò  la  D’Alba, tentò di uccidere re Vittorio Emanuele III spa-
            pazzia nel galeotto che morì nel 1910 in manicomio      randogli due colpi di rivoltella. Anche in quella circo-




            62 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI - N. 1 ANNO V
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