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rali sono legger-
mente radioattive.
Occorre sapere
che tutte le so-
stanze radioattive,
nel tempo, per-
dono questa ca-
r a t t e r i s t i c a .
Questo accade
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anche per il C,
che dimezza la
sua quantità ini-
ziale in circa
6.000 anni. Tutta-
via, la percentuale
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di molecole di CO radioattive ( CO ) nella biosfera, cioè nella parte
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della Terra popolata da esseri viventi, è costante, anche se piccolissima,
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perché il C viene continuamente ripristinato nella parte alta della no-
stra atmosfera. Al contrario, il petrolio depositato nella crosta terrestre,
rimasto isolato e quindi escluso dai fenomeni di ripristino del C, ha
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un’età tale per cui tutto il carbonio radioattivo che era presente inizial-
mente nelle materie biologiche originarie si è consumato (è “decaduto”).
Pertanto, il petrolio ed i suoi derivati non hanno C. Insomma, il pe-
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trolio non è radioattivo.
Questa differenza, piccola ma significativa, è stata sfruttata per elabo-
rare una metodica che consente di individuare e quantificare l’uso di
materie prime rinnovabili nei prodotti, cioè il cosiddetto “contenuto di
sostanze biologiche”, in termini di percentuale di Carbonio “bio-based”
(o Carbonio recente), al fine di poterli distinguere da quelli di deriva-
zione esclusivamente petrolifera, che contengono soltanto Carbonio
fossile.
In sostanza il metodo si basa sul fatto che nel petrolio e nei suoi deri-
vati, il C ha concentrazione pari a 0, mentre in una pianta o in un pro-
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dotto interamente derivato da essa, il C ha la concentrazione massima.
Fissati questi due estremi della scala, come corrispondenti a “materiale
non-bio-based” (o “100% fossile”) e “materiale 100% bio-based”, ogni per-
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centuale di C intermedia, rilevata nel prodotto sottoposto a indagine,
identificherà un uso parziale di materie rinnovabili. Lo standard in cui
I Quaderni Rivista Tecnico-scientifica ambientale 41
dell’Arma dei Carabinieri