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L’HATE SPEECH TRA VITA OFF-LINE E ON-LINE
Alla base di tutto c’è il fenomeno per cui gli individui continuano a diffon-
dere immagini, video e informazioni private senza avere realmente contezza
delle conseguenze cui si espongono, o degli effetti civili o penali e del potenziale
pericolo di diventare vittima di comportamenti online.
Nel 2008 il caso di Anna Mayer divenne emblematico nel dibattito riguar-
dante l’hate speech e il bullismo online, con particolare attenzione al corpo e alla
salute. Anna, blogger e attivista sui social media, condivise apertamente le sue
esperienze personali relative al suo peso, le difficoltà legate alla sua immagine
corporea e le sfide psicologiche che stava affrontando. Le sue riflessioni, sincere
e profonde, avevano l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi
dell’immagine corporea e dell’autostima. Tuttavia, questa apertura suscitò anche
una reazione negativa online. Molti utenti dei social media e dei forum iniziarono a
commentare in modo estremamente offensivo e dannoso, lanciando insulti
legati al suo aspetto fisico e criticando severamente le sue riflessioni sulla pro-
pria immagine. Questi commenti la portarono a un’ulteriore emarginazione e
contribuirono alla diffusione di un discorso d’odio, alimentato da una cultura
online che spesso derideva o ridicolizzava chi condivideva apertamente le pro-
prie difficoltà personali, come nel caso di Anna. Col passare del tempo, gli
attacchi divennero sempre più crudeli e numerosi, arrivando a includere minac-
ce di stupro tramite messaggi e e-mail. La giovane iniziò a riscontrare difficoltà
anche nel trovare un lavoro, poiché molti post erano mirati a ostacolare la sua
assunzione. Di conseguenza, si sentì costretta a inserire nel suo curriculum una
nota per avvisare i potenziali datori di lavoro su ciò che avrebbero inevitabil-
mente trovato cercando il suo nome online. Il caso di Anna Mayer rappresenta
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un esempio emblematico di cyberstalking e di cyberharassment , manifestandosi in
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modo particolarmente violento sulle piattaforme digitali. Anche se le definizio-
ni di questi termini possono variare, le molestie online sono generalmente intese
come l’inflizione intenzionale di sofferenza psicologica attraverso interazioni
online che sono abbastanza persistenti da configurarsi come un «comportamen-
to continuato» piuttosto che un semplice episodio isolato.
7 Citron, Danielle Keats, Hate Crimes in Cyberspace - Introduction (2014). Hate Crimes in Cyberspace,
Harvard University Press (2014), U of Maryland Legal Studies Research Paper No. 2015-11,
Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=2616790, https://papers.ssrn.com/sol3/
papers.cfm?abstract_id=2616790, dal libro di G. Ziccardi, L’odio online. Violenza verbale e osses-
sioni in rete.
8 Questo comportamento, online harassment, ovvero molestie online, può prendere contorni dif-
ferenti, dal body shaming allo slut shaming e non c’entrano per forza le molestie sessuali. Si
tratta di cyberbullismo nella sua accezione più ampia con commenti volgari e messaggi
aggressivi sui social, ossia quei giudizi che portano a far sentire una donna colpevole o infe-
riore o comunque giudicata per determinati comportamenti.
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