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STUDI MILITARI
nell’arco di quattro mesi, erano state effettuate senza la contestuale o immedia-
tamente successiva redazione di specifici verbali, nei quali dare conto formale
delle attività svolte di volta in volta, e senza garantire la conformità dei dati infor-
matici o telematici acquisiti. In sostanza si lamentava la violazione delle disposi-
zioni di cui agli articoli 354, comma 2; 357, comma 3, e 373, comma 2, cod. proc.
pen. e dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 196/2003.
Entrambe le eccezioni sono state agilmente superate dalla Corte in consi-
derazione della riconosciuta inesistenza nel codice di rito di una sanzione di
nullità o di inutilizzabilità per la non immediata verbalizzazione delle attività di
acquisizione dei filmati svolta dalla polizia giudiziaria e la non pertinenza delle
questioni concernenti le modalità tecniche con cui si era proceduto alla dupli-
cazione dei filmati, in mancanza di specifiche doglianze volte a contestare la
conformità della copia alle riprese originali.
In relazione a quest’ultimo profilo, la decisione si è posta sulla scia di un
orientamento, anch’esso consolidato, secondo cui, pur essendo richiesta - oltre
che dall’articolo 354, comma 2 c.p.p., anche dagli articoli 247, comma 1-bis, e
260, comma 2, c.p.p., questi ultimi opportunamente evocati nella motivazione
della sentenza - l’adozione di misure tecniche e di procedure idonee a garantire
la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabi-
lità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni, non sono imposte
misure e procedure tipizzate, sicché qualsiasi eccezione tendente alla declarato-
ria di inutilizzabilità dei dati acquisiti non può prescindere né dalla effettiva con-
testazione della corrispondenza tra copia e originale né dalla positiva e specifica
individuazione delle cause che avrebbero determinato l’alterazione (Cass.,
Sentenza n. 37644/2015).
In ordine alle ulteriori questioni, in questa sede di maggiore interesse, con-
cernenti la presunta violazione della normativa sulla privacy, i Giudici di legitti-
mità hanno richiamato precedenti decisioni nelle quali avevano espressamente
sostenuto la prevalenza dell’interesse pubblico alla repressione dei reati rispetto
alla tutela della riservatezza, sulla base del disposto di cui all’articolo 160-bis del
D.Lgs. 196/2003, con la conseguenza che i limiti di utilizzabilità delle prove nel-
l’ambito del processo penale sono da individuare nelle norme processuali che
ne regolano la formazione e non in disposizioni normative poste a tutela di altri
diritti.
Peraltro, in sentenza si sottolinea l’inesistenza nel caso di specie di un dirit-
to alla privacy, con riferimento alle riprese tratte dall’impianto di videosorve-
glianza che inquadrava i varchi di accesso alla caserma, in quanto si trattava di
luogo visibile da un numero indeterminato di persone certamente non qualifi-
cabile come domicilio.
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