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INSERTO



             b. La variabilità genetica come strumento d’indagine forense a fini identificativi
                  La  diversità  dei  genomi  riveste  una  grandissima  importanza  per  le  sue
             implicazioni evolutive. Per il genetista, tuttavia, i polimorfismi hanno anche un
             grande interesse dal punto di vista applicativo, che prescinde dalla rilevanza bio-
             logica delle mutazioni stesse. I microsatelliti, ad esempio, grazie alla loro elevata
             eterozigosità , sono stati utilizzati nell’ultimo ventennio come strumento di ele-
                       (56)
             zione per la mappatura dei geni umani. Allo stesso modo, nella genetica foren-
             se, i polimorfismi del DNA rappresentano lo strumento attraverso il quale otte-
             nere degli input investigativi o identificare autori di reati. Il genetista forense
             sfrutta la diversità esistente tra individui (ma anche tra popolazioni e specie dif-
             ferenti) al fine di risolvere controversie di tipo legale. Il campo di applicazione
             della variabilità del DNA in ambito forense spazia dalle analisi che riguardano
             l’uomo (test di paternità e parentela, identificazione di resti umani nei disastri di
             massa, identificazione di reperti nelle indagini criminali ecc.) alle indagini rela-
             tive all’identificazione di materiale biologico proveniente da specie protette in
             via di estinzione.
                  Negli ultimi quarant’anni la genetica ha acquisito un’importanza sempre
             maggiore all’interno delle scienze forensi grazie alla messa a punto di metodo-
             logie molecolari che hanno permesso l’analisi di polimorfismi ad elevato grado
             di variabilità direttamente a livello di DNA. In precedenza, l’analisi genetico
             forense poteva contare solo su polimorfismi di gruppo sanguigno o su polimor-
             fismi genetici analizzati a livello di proteine. Questi sistemi polimorfici sono
             caratterizzati da un basso grado di variabilità genetica e presentano problemi
             relativi  alla  rapida  degradazione  della  componente  biologica  utile.  La  prima
             metodologia  basata  sull’analisi  del  DNA  venne  descritta  nel  1984  da  Alec
             Jeffreys con il nome di DNA fingerprinting e venne applicata proprio per risol-
             vere due noti casi di violenza sessuale avvenuti nel Leicestershire, in Inghilterra.
             In questa metodologia, il DNA estratto da reperti biologici veniva frammenta-
             to, sottoposto ad un processo di separazione fisica su gel (elettroforesi) e trasferito
             su una membrana di nitrocellulosa (Southern Blotting); Veniva quindi utilizzata
             una sonda molecolare in grado di riconoscere contemporaneamente il motivo
             ripetuto di differenti minisatelliti (sonda multi-locus). L’elevato grado d’informa-
             zione che veniva fornito dal DNA fingerprinting derivava quindi dalla combi-
             nazione di due fattori: il numero elevato di loci analizzati in un singolo esperi-
             mento e l’elevata eterozigosità dei singoli loci (i minisatelliti rappresentano la


             (56)  L’eterozigosità corrisponde alla proporzione di individui eterozigoti (quindi con due alleli
                  differenti) all’interno di una popolazione che sia in equilibrio di H-W. In questo contesto
                  possiamo considerare l’eterozigosità come una misura di diversità genetica.

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