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OSSERVATORIO INTERNAZIONALE



                  Il tema, in verità, non è affatto nuovo nel suo complesso. Già il filosofo
             Walter Benjamin  aveva sollevato la questione dell’impatto delle più recenti
                             (35)
             tecnologie di riproduzione (all’epoca fotografia e cinema) sul mondo dell’arte:
             questa, fino all’epoca pre-industriale, risultava avvolta da un’aura che la rendeva,
             in quanto oggetto unico, autentico poiché uscito tal quale dalle mani del suo
             autore, un vero e proprio oggetto di culto capace di esercitare un’auctoritas di
             tenore quasi sacrale  sullo spettatore, tenuto a distanza reverenziale rispetto
                                (36)
             all’opera.
                  La possibilità, invece, di riprodurre in quantità industriali copie della stessa
             opera non solo la avvicina drasticamente al suo fruitore, ma ne dissolve defini-
             tivamente quella dimensione di assolutezza che conferiva all’arte un forte carat-
             tere epifanico, così da “degradarla” a manufatto artificiale, traccia tangibile della
             práxis dell’artista e allo stesso tempo “feticcio” dal valore di mercato quantifi-
             cabile (pertanto “democraticamente” appetibile ai più). Ma la rivoluzione arti-
             stica del digitale si è spinta in realtà ben oltre. Come ricorda lo stesso Benjamin,
             attraverso tecniche manuali quali il conio, il calco, l’incisione (dalla xilografia alla
             puntasecca alla litografia) l’arte è sempre stata riproducibile, e quindi anche fal-
             sificabile.
                  “L’arte  è  la  menzogna  che  ci  permette  di  conoscere  la  verità”  (Pablo
             Picasso): mai parole furono più profetiche, anche per svelare in questo caso la
             faccia nascosta del mondo che ruota attorno ad essa!
                  Il passaggio dalla riproduzione manuale a quella meccanica (prima) e digi-
             tale (poi) ha, infatti, determinato una vera e propria mutazione dell’idea stessa
             di “arte” (e quindi del “bene culturale” da tutelare ope legis).
                  Attraverso lo sdoganamento definitivo del concetto di serialità , opera-
                                                                               (37)
             to da numerose avanguardie del secolo scorso , e la nascita di una nuova este-
                                                         (38)
             tica di massa che ne celebrasse la dignità recuperata rispetto agli anatemi del-
             l’epoca romantica, si è pervenuti in pochi decenni alla moltiplicazione espo-
             nenziale degli oggetti artistici, all’amplificazione nazionale e internazionale del


             (35)  W. BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1935.
             (36)  Vengono alla mente le parole di PAUL KLEE: l’arte non rappresenta mai il visibile, ma l’Invisibile che
                  è nel visibile.
             (37)  Concetto peraltro dalle radici antiche: tutta l’arte classica, con la riproduzione continua di topos
                  narrativi attraverso canoni figurativi pre-determinati, si può definire in tal senso “seriale”.
                  Vedasi, ad esempio, S. SETTIS, A. ANGUISSOLA, D. GASPAROTTO, Serial/Portable Classic - The
                  Greek Canon and its Mutations, Progetto Prada Arte, Milano 2015.
             (38)  Due  su  tutti:  Marcel  Duchamp,  nel  cui  dadaismo  si  mescolano  il  disincanto  unito  alla
                  coscienza dell’impatto dell’industria sull’arte, e Andy Warhol per il quale l’immersione nella
                  serialità delle merci assurge ad autentica condizione esistenziale dell’artista contemporaneo
                  (tanto da derivarne il nome del suo studio, The factory).

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