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TRIBUNA DI STORIA MILITARE
Oltre a queste attitudini militari, Bisanzio sviluppa anche una tecnologia
a fini esclusivamente militari. L’invenzione del fuoco greco (ugron pur), e la
gelosa custodia del suo segreto circa i materiali e la fabbricazione, rappresen-
terà un’arma micidiale a bordo delle navi della flotta imperiale. Il fuoco greco
era devastante per le flotte nemiche anche dal punto di vista psicologico.
Bisanzio in ciò sembra delineare, in modo empirico, ciò che noi oggi chiamia-
mo come guerra psicologica. L’idea che una intera flotta fosse distrutta in
poche ore grazie a questa arma “tecnologica” (che funzionava a mo’ di lancia-
fiamme) scoraggiava ovviamente l’ingaggio navale da parte dell’avversario. Per
la cronaca ai Romani d’Oriente era ben chiaro che il dominio dello spazio
marittimo consentiva la sopravvivenza dell’Impero e con essa la floridità dei
suoi traffici mercantili.
Se dunque è esistita una Intelligence militare, è altrettanto chiaro che ve ne
era anche una “civile” demandata direttamente ai diplomatici. La diplomazia
bizantina è stata per secoli vincente. Si potrebbe affermare che la diplomazia
imperiale abbia costituito, almeno per i secoli d’oro di Bisanzio, la longa manus
dell’Intelligence. L’attività diplomatica di Bisanzio era intensissima nonostante
non vi sia mai stato un vero e proprio servizio diplomatico (così come lo inten-
diamo negli Stati moderni); in sostanza l’imperatore sceglieva dal complesso
apparato burocratico persone di sua fiducia cui affidava di volta in volta missio-
ni diplomatiche. L’invio e la ricezione delle ambasciate non era lasciato al caso,
bensì era dettagliatamente organizzato. Le fonti ci illustrano, a distanza di seco-
li, come l’impatto della diplomazia bizantina sia stato rilevante e fondamentale
insieme per la sopravvivenza dell’Impero. Nel ricevere ambasciate e legazioni
gli imperatori romani d’oriente usavano ogni mezzo - anche psicologico - per
mettere in soggezione le persone. Così Liutprando, vescovo di Cremona, ci ha
lasciato la descrizione della sua udienza presso l’imperatore Costantino VII,
essendo egli emissario del Re Berengario II; correva l’anno 949 e con queste
parole descrive il trono imperiale: «(…) il trono dell’imperatore era costruito in
tale modo che un momento appariva come una bassa costruzione, e in un altro
si ergeva nell’aria, e aveva una dimensione immensa ed era difeso da leoni, fatti
di bronzo o di legno ricoperti d’oro, che sferzavano il terreno con le loro code
ed emettevano un ruggito con la bocca aperta e la lingua movente (…)»
[Ferluga, 103]. Dunque si utilizzavano vere e proprie macchine per poter effet-
tuare tali effetti, macchine che però non erano destinate poi alla “produzione”,
ma rimanevano appannaggio esclusivo della corte imperiale e dell’imperatore.
Tra le molte fonti il De Cærimonis, scritto dall’Imperatore Costantino VII
Porfirogenito (imp. dal 912 al 959), ci fa comprendere i complessi rituali della
corte costantinopolitana del X secolo.
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