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LA RILEVANZA DELLE INGIURIE VERBALI A SFONDO SESSUALE NEL DIRITTO PENALE MILITARE
militare, ossia la consuetudine all’uso del cosiddetto “linguaggio di caserma”,
formula che nell’immaginario collettivo evoca la tolleranza verso espressioni
che nel linguaggio “civile” sarebbero considerate ingiuriose o, quanto meno,
inaccettabili per la loro grossolana volgarità.
Dopo la riforma introdotta con il D.Lgs. n. 7/2016 si è venuto a creare,
infatti, un ribaltamento di piani, che vede il sistema penale militare atteggiarsi
in modo più attento ed efficace di quello comune nella predisposizione degli
strumenti di tutela dell’onore e del decoro della persona in armi, a prescindere
dalla attinenza del fatto al servizio o alla disciplina.
In tale contesto si innesta il problema delle aggressioni verbali alla sfera
sessuale. Si tratta di comportamenti che possono ben assumere elevati livelli di
lesività, in considerazione sia dell’intrinseco contenuto spregiativo delle espres-
sioni utilizzate, sia delle circostanze di modo, tempo e luogo che caratterizzano
la condotta. Non vi è dubbio, infatti, che lanciare, soprattutto in pubblico, epi-
teti o apprezzamenti volgari che coinvolgono la sfera sessuale del destinatario
può comportare nella vittima un turbamento e un senso di violazione della pro-
pria personalità forse anche più grave di un’occasionale e fugace manipolazione
di zone erogene.
Tali condotte, però, sfuggono facilmente alla rilevanza penale comune in
quanto, mancando il necessario contatto fisico, è escluso che possano qualifi-
carsi come violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., e non sono di per sé tali da con-
figurare neppure il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. (Atti persecutori) o la con-
travvenzione di cui all’art. 660 c.p. (Molestie), fattispecie che presentano tipicità
diverse e peculiari rispetto all’ingiuria.
Particolarmente significativo e persino emblematico appare, quindi, il caso
affrontato nella sentenza della Cassazione da cui traggono spunto queste brevi
note. La condotta incriminata era consistita nell’invito/esortazione rivolta ad
un militare di sesso femminile ad effettuare un rapporto sessuale orale ad uno
degli altri militari presenti, con i quali era in corso una conversazione di tenore
erotico, alla quale la persona offesa non prendeva parte. I Supremi Giudici non
hanno avuto dubbio alcuno a confermare le valutazioni sia del Tribunale
Militare sia della Corte Militare d’Appello, i quali avevano ritenuto pienamente
integrato il reato di ingiuria di cui all’art. 226 c.p.m.p.
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