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STALKING: CO-COSTRUZIONE DI UNA RELAZIONE?
guente all’individualismo) guardati con spirito critico dall’autore, il quale li ritie-
ne tra gli elementi di crisi della propria epoca. Le convinzioni espresse nel prin-
cipio dialogico si oppongono, infatti, tanto all’individualismo, dove l’altro non
è percepito che in rapporto a se stessi, quanto alla prospettiva collettivista, dove
l’individuo è occultato a vantaggio della società.
Non sembra un caso che l’attenzione sul fenomeno dello stalking si svilup-
pi proprio in questo momento storico, in una società in cui l’altro rappresenta
l’estraneo, e in cui la relazione con l’altro è strutturata sul regime della pretesa
a scapito di un più arricchente regime di scambio (è solo attraverso lo scambio
che è possibile lo sviluppo). Nelle indicazioni che spesso si ritrovano fra i sug-
gerimenti rivolti alle vittime di stalking colpisce l’elenco di una serie di elementi
che possono essere riassunte nella categoria strategica dell’evitamento e del non
contatto. Sembra quindi che la sola forma di difesa da chi assilla sia trovare ogni
mezzo disponibile per evitarne attese relazionali di qualunque genere, ma anche
allontanare ogni opportunità di relazione o contatto. Da ciò ne deriva una con-
clusione relativa all’implausibilità sociale del rapporto con qualcuno con il quale
è impossibile entrare in relazione in quanto soggetto della stessa. Il cosiddetto
stalker potrebbe essere in fondo qualcuno che sembra non capire di star violan-
do le soglie dell’intimità consentita, le frontiere reciprocamente condivisibili di
una relazione tra persone.
Si potrebbe dire che nel rapporto intersoggettivo tra vittima e stalker vi sia
“un conflitto di interessi” . Da un lato c’è un Io che propone/impone una
(11)
relazione Io-Esso, non riconoscendo la soggettività dell’altro e non aprendosi
alla possibilità di entrare in contatto con sé stesso. Dall’altro lato c’è un Tu che,
molte volte, non delimitando un confine netto con l’altro non si assume la
responsabilità della propria soggettività, o meglio di quella parte della propria
soggettività che implicherebbe quella che P. Quattrini chiamerebbe una “guerra
di difesa”, necessaria per conquistare il proprio spazio e per porre una distanza
funzionale ad evitare l’invasione nel proprio territorio.
Con le vittime di stalking è determinante far passare il messaggio che il non
rispondere alle telefonate, non presentarsi agli incontri richiesti, sporgere
denuncia, così come il chiedere aiuto, sono strumenti essenziali per difendersi
e, in taluni casi, per scongiurare conseguenze letali. È come se la vittima non si
arrendesse alla necessità di avere dei confini e di difenderli con un’azione “bel-
lica” che invece viene connotata da un’etichetta etica come “cattiva”. Di conse-
guenza la mancata integrazione della propria aggressività non permette alla vit-
tima di strutturare confini solidi.
(11) P. QUATTRINI, 2008.
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