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gestione faunistica
no, ai delusi del mare e della disco- l’Emilia, il Parco d’Abruzzo e ora di anni, i caprioli catturati nella ri-
teca, della folla e delle località alla hanno appena cominciato a ripro- serva presidenziale di Castel Porzia-
moda, prodotti tipici, tradizioni, na- dursi nel Parco del Pollino. Gli stam- no, alle porte di Roma, stanno ripo-
tura. Ma i veri protagonisti di questa becchi del Parco del Gran Paradiso polando i monti della Tolfa. E così i
rivoluzione furono il bosco e la mac- hanno trovato casa tra le montagne cinghiali della stessa riserva e quel-
chia che cominciarono a dar vita ad del Grigioni, dell’Austria, della Slo- li del Parco dell’Uccellina stanno au-
una nuova ricchezza: cervi, caprio- venia, e dei Carpazi rumeni. I camo- mentando le percentuali di sangue
li, cinghiali, daini, mufloni si molti- sci, sempre del Parco del Gran Para- italico nei popolamenti un po’ me-
plicarono a tal punto che comincia- diso, scorrazzano ora lungo le pen- ticci che ormai abitano tutte le nostre
rono ad essere percepiti come un pro- dici del Monte Baldo e delle Orobie. selve. Ma occorre fare attenzione:
blema. Vedremo poi come una saggia Il metodo ha fatto scuola: da un paio quella delle catture è una strada as-
gestione li trasformerà in risorsa. Per
cause diverse, anche la fauna alpina,
soprattutto i mammiferi (cervi, ca-
prioli, camosci, marmotte) fu prota-
gonista, tra la fine degli anni ’60 ad
oggi, di un inatteso incremento. Inol-
tre c’era stato l’abbandono delle mal-
ghe e degli allevamenti bovini che
aveva determinato la colonizzazione
di prati e brughiere da parte di mughi
e abeti, e quindi la riduzione delle
possibilità di pascolo. E occorre dire
che mentre nella dorsale appennini-
ca l’incremento delle popolazioni
degli ungulati si era avuto soprattut-
to grazie all’abbandono della produ-
zione agricola, nelle Alpi si può dire
che tale successo riproduttivo si era
avuto anche malgrado l’abbandono
delle colture alpine come lo sfalcio e
il pascolo. Il successo lo si deve quin-
di alla saggezza dell’uomo moder-
no, che consapevole di essere al ver-
tice del sistema biologico, ha final-
mente rinunciato alle sue incursioni
nella natura che nel passato avevano
trasformato le Alpi in un deserto, e
ha imparato invece ad amministrare
le sue risorse faunistiche. Dove “am-
ministrare” significa “gestire”. E
quindi lasciare spazi di rifugio, pro-
tezione e alimentazione, ottenere
con prelievi selettivi mirati e non in-
vasivi (e il discorso vale soprattutto
per i cervidi e i bovidi) che una de-
terminata popolazione raggiunga il
giusto numero in rapporto al territo-
rio, mantenere il delicato equilibrio
strutturale fra i sessi e le classi di età.
Talvolta è anche possibile procede-
re ad una campagna di catture per im-
mettere alcuni capi in zone che for-
niscano possibilità di rifugio e di ali-
mentazione. In questo modo anche
quella nuovacolonia potrà a sua vol-
ta espandersi e popolare un deter-
minato territorio. E così, i cervi di
Tarvisio hanno ripopolato la Valle di
Susa, i boschi della Toscana e del- Cucciolo di capriolo.
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