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LA MAFIA A OSTIA. QUANDO TUTTO APPARE DIVERSO
E, finché c’è stata, della Provincia. Più che di un vuoto di Stato, appare
giusto dunque in questo caso parlare di un “pieno di Stato”, che ben si coglie
nello stesso infinito fluire di simboli istituzionali nella vita quotidiana della città.
Come è stato dunque possibile che, in questo “pieno”, nascesse e si consolidas-
se un fenomeno mafioso come quello cresciuto a Ostia? Le pagine presenti cer-
cano appunto di iniziare a rispondere a questa domanda radicale. Ricostruendo,
analizzando e connettendo i fatti. E provando progressivamente, cosa che si
farà specialmente nelle conclusioni, a inquadrare la risposta in una prospettiva
comparata sul piano nazionale.
2. Tra vecchie e nuove mafie
Il caso di Ostia, dunque. Per capirne meglio la storia e le caratteristiche va
richiamato brevemente il più ampio scenario criminale romano. Il punto di par-
tenza, infatti, è che Roma costituisce da tempo un luogo di incontro, dove mafie
tradizionali, autoctone e straniere si spartiscono mercati, posizioni e territori con
accordi e, talvolta, con la creazione di vere e proprie “joint venture” criminali .
(7)
Le caratteristiche della città hanno d’altronde tradizionalmente rappresentato un
fattore di attrazione per le organizzazioni mafiose: dall’antica “vocazione roma-
na” di Cosa nostra all’arrivo (a partire dagli anni Settanta-Ottanta) di ‘ndranghe-
(8)
ta e camorra, che investono nei locali del centro e si insediano nelle periferie .
(9)
(7) Osservatorio sulla legalità e la sicurezza Regione Lazio, Rapporto Mafie nel Lazio, Roma, 2016.
(8) Commissione Parlamentare Antimafia, Relazione sulle risultanze del gruppo di lavoro incaricato di svol-
gere accertamenti sullo stato della lotta alla criminalità a Roma e nel Lazio, X legislatura, Roma, 1991.
(9) Le prime presenze nella zona risalgono al secondo dopoguerra, quando il Lazio e la Capitale
sono diventati meta dei processi di espansione delle organizzazioni mafiose tradizionali. Prima
di tutte Cosa nostra, con la sua antica “vocazione romana”, che si insediò prima nelle aree del
litorale con Frank Coppola agli inizi degli anni Cinquanta e poi in città, dove i collaboratori
Buscetta e Calderone riferirono dell’esistenza di una “decina” (unità organizzativa di base) gui-
data da un elemento vicino a Stefano Bontate. Ai clan palermitani si aggiunsero anche quelli
catanesi a partire dagli anni Ottanta e successivamente i gelesi. Una presenza a oggi ancora
importante in alcuni settori economici e, come si dirà, nella governance delle strategie e degli
equilibri criminali tra i diversi attori operanti nella città. In un periodo più recente, si spostarono
su Roma anche gli investimenti della ‘ndrangheta, che ha mantenuto una forma organizzativa
più fluida rispetto a quanto emerso nelle indagini che hanno riguardato le regioni del Nord. Le
‘ndrine hanno reinvestito i capitali illeciti, acquistando numerose attività commerciali - anche
di particolare storia e pregio - e imponendosi nel traffico di cocaina. Tuttavia, testimonianza di
un radicamento che va oltre il mero reinvestimento economico è stato il ritrovamento di un
codice di San Luca nell’abitazione di un affiliato, che dimostra che vengono celebrate affiliazio-
ni anche nella Capitale. La camorra, infine, si è insediata in particolare nelle zone di Tor Bella
Monaca e (almeno fino al gennaio 2015) lungo la via Tuscolana, portata a Roma dalla sangui-
nosa guerra tra NCO e Nuova Famiglia, favorita dal divieto di soggiorno nel napoletano di
alcuni boss o spostata alla ricerca di nuovi e più ricchi affari (rielaborazione sulla base di
Osservatorio sulla legalità e la sicurezza Regione Lazio, Rapporto Mafie nel Lazio, Roma, 2015 e 2016).
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