Page 276 - Rassegna 3-2016
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PANORAMA INTERNAZIONALE

      Nella sostanza, l’eccessiva proposizione di un modello di riferimento
sociale tipicamente occidentale, laico, consumista, poco rispettoso delle tradi-
zioni culturali e religiose persiane, creò i presupposti per una riaffermazione
violenta ed eccessiva di tali tradizioni, non appena possibile. Semplicemente, la
White Revolution ebbe come risultato, sommamente indesiderato dai suoi idea-
tori, la repubblica islamica anti-occidentale.

      Non appare ancora ben riconducibile a razionali e sicure interpretazioni il
passaggio attraverso il quale il clero sciita fu in grado, sul finire degli anni set-
tanta, di prendere completamente in mano il processo di esautorazione dal
potere del regime Pahlavi. Nessun dubbio sull’allontanamento di quest’ultimo,
negli anni, da vaste aree della popolazione, tenuta distante dai privilegi della cer-
chia più vicina al potere anche attraverso il terrore della polizia politica. Certo,
come già scritto, la perdita di identità culturale e religiosa fu presupposto di rea-
zioni virulente. Comunque, l’esule parigino Ayatollah Khomeini tornò a
Teheran, nel febbraio del 1979, da trionfatore.

      Le masse sostenevano quest’ultimo e i tentativi del governo Bazargan di
creare “regole del gioco” per una repubblica islamica moderata non erano desti-
nati al successo. Nasceva una nuova entità sovrana, connotata da uno strettissi-
mo legame fra nazionalismo e religione, esasperato dalle drammatiche circo-
stanze che generavano il mutamento (è normale nelle rivoluzioni), perlopiù
inquietante per il mondo occidentale ma non per questo, in una prospettiva di
inevitabile realismo politico, tale da non essere seriamente tenuta in considera-
zione sulla scena politico-economica internazionale.

      Il rapporto con il grande protettore dello Shah, gli Stati Uniti d’America,
apparve subito difficilissimo, vedendo questi ultimi crollare una roccaforte dei
loro progetti di stabilità mediorientale, almeno in termini parziali. La lunga
vicenda del sequestro dei diplomatici statunitensi dell’ambasciata a Teheran fu
un atto di chiara rottura.

      In modo grossolano, forse mal consigliato, Saddam Hussein, appena dive-
nuto leader incontrastato dell’Iraq, interpretò il cambiamento a Teheran come
un momento di fatale debolezza, da sfruttare subito per modificare l’equilibrio
di potenza nel Medio Oriente, ovviamente a favore di Baghdad. Ne scaturì una
guerra che si colloca di certo ai vertici, nell’immaginaria, penosa classifica dei

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