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NANDO DALLA CHIESA
Questa adesione volontaria al rischio fu d’altronde una costante della sua
vita. E non nasceva certo dalla ricerca di una compensazione emotiva a una vita
privata arida o infelice. Perché mio padre amò senza fine la sua famiglia, con
punte commoventi di tenerezza.
Eppure ciò non frenò mai il suo impegno in prima linea. Io credo anzi di
potere qui dire quale fu sicuramente uno dei più grandi prodigi educativi da lui
realizzati: che nessuno della nostra famiglia, né nostra madre, né le mie sorelle
e io, avemmo mai da ridire su queste scelte che si riflettevano poi anche sulla
nostra vita. E in molti modi: dal numero dei trasferimenti ai divieti “a fin di
bene”, dai timori personali (avevo dodici anni quando mi venne detto la prima
volta di non uscire con il nostro cocker sempre alla stessa ora, anche se ovvia-
mente non ne capii subito la ragione) alla dimensione della paura che anno
dopo anno diventò qualcosa di immanente alla vita quotidiana. E nulla diceva-
mo - e nemmeno pensavamo - perché ci aveva abituato a credere che fosse giusto
così, che vi fosse un valore superiore al quale era giusto sacrificare qualcosa di
noi. Ebbene, basta rileggere la nostra Carta, distillarne il “non detto”, che ne è
poi il cuore e il cervello, per realizzare che esattamente in questo consiste lo spi-
rito della Costituzione.
E in proposito non ho mai dimenticato una scena a cui assistetti da bam-
bino. Una scena riconducibile anch’essa alla Costituzione, più esattamente a un
suo articolo, il 54 (comma 2), che stabilisce che coloro che rivestono funzioni
pubbliche debbano adempiere con “disciplina e onore” ai loro compiti. Si tratta
di un articolo spesso negletto non solo nella prassi ma anche nella dottrina
costituzionale, ritenendosi probabilmente che la prescrizione che vi è contenuta
sconfini nell’ovvietà, per non dire nella banalità. E invece, come capisce qua-
lunque cittadino informato sulla storia etico-politica della società italiana, si
tratta di un architrave della deontologia istituzionale.
Avrò avuto sette, otto anni, quando sotto Natale arrivò in casa un dono
indirizzato a mia madre. Veniva dalla famiglia di un industriale con cui mio
padre aveva intrattenuto rapporti di cortesia. Il viso di mia madre nell’aprire il
dono e trovarvi una borsetta di coccodrillo fu il ritratto della felicità. Appena
mio padre tornò a casa e lo vide decise però subito che il regalo andava resti-
tuito al mittente.
Accettarlo contrastava con l’onore dell’ufficiale dei Carabinieri, una delle
funzioni pubbliche che più -dell’onore- devono essere titolari e custodi. Il capi-
tano (o maggiore) non poteva ricevere doni impegnativi da privati. E non pote-
va far dubitare a nessuno dell’imparzialità con cui esercitava le sue funzioni.
Spirito della Costituzione, appunto.
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