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A PROPOSITO DI...
Nel 1888 vi erano 2
plotoni da 25 zaptiè
a Dogali, quando i basci-buzuk sostanzialmente si det-
tero alla fuga e lasciarono il reparto del Maggiore De (dal turco zaptiye,
Cristoforis alla mercé degli armati del ras Alula, gli
àscari dettero sempre buone prove, tanto che quelli
che furono catturati ad Adua il 1° marzo 1896 subirono polizia), al comando
dagli etiopi, per punizione, l’amputazione di mano de-
stra e piede sinistro, sì da non poter più usare un’arma di 2 sottufficiali
e cavalcare.
Ci si è chiesti perché, quindi, l’Italia non fece ricorso
a tale risorsa fin dall’inizio anche in Libia. anziani indigeni,
Prima di tutto non va sottaciuto un aspetto di carattere
politico e psicologico. La guerra creava uno scenario operanti a supporto
particolarmente delicato in Eritrea, territorio dove Ita-
lia e Impero Ottomano si trovavano a contatto diretto. delle 2 compagnie
Nello Yemen era concentrato un contingente turco
che diveniva una minaccia per il dispositivo di difesa
che, dopo Adua, era stato progressivamente ridotto. carabinieri.
Infatti se il contingente di zaptiè dell’Arma era stato
buluk-basci, 18 muntaz e 133 zaptiè, nel 1902 il nuovo L’11 dicembre 1892 gli
leggermente incrementato nel 1900 a 1 sciumbasci, 6
ordinamento della colonia Eritrea aveva portato da 6
a 4 i battaglioni indigeni, mentre gli effettivi delle zaptiè salirono a 82
truppe italiane erano stati ridotti a circa 130 ufficiali
e 600 soldati, che con lo scoppio della guerra erano
scesi a 437 uomini. L’Eritrea doveva provvedere in
primo luogo alla propria difesa, dato che a metà ottobre ottomana sul Mar Rosso venne ridimensionata e se-
del 1911 veniva segnalata una concentrazione di forze condo alcuni cronisti del tempo fu proprio a seguito
e sambuchi a Moka, possibile preludio di una sortita di quest’azione che in Eritrea venne abolita l’invoca-
ottomana su Assab. Si procedette come primo atto al- zione al sultano di Istanbul nella preghiera del venerdì
l’espulsione di egiziani accusati di essere spie del go- (Corriere della Sera, 22 feb. 1912).
verno ottomano, mentre la stampa in arabo denunciava La seconda ragione era di carattere tecnico: si riteneva
l’aggressione italiana e invocava la comune apparte- che la guerra sarebbe stata combattuta contro un ne-
nenza religiosa per contrastarne l’azione. A fine no- mico aduso a combattere all’europea, da piegare con
vembre le autorità italiane segnalarono che la mobili- la maggiore potenza di fuoco in pochi confronti diretti.
tazione nello Yemen aveva avuto un buon successo in Non era una prova adeguata per truppe indigene abi-
quanto lo sbarco in Libia era stato presentato come tuate a confrontarsi con milizie male armate e disor-
una guerra dell’Italia contro l’islam, l’incertezza ter- dinate. In Libia fu pertanto spiegato l’equipaggiamento
minò solo il 7 gennaio 1912, quando la flotta italiana più moderno a disposizione: aerei, autoblindo, auto-
riuscì ad affondare sei cannoniere e a catturare uno carri, dirigibili da ricognizione, telegrafi campali, anche
yacht armato nell’azione di Al Qunfudhah. La minaccia se per quella che fu bollata come la “sindrome di Adua”
NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI - N. 1 ANNO VII 47