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LIBRI
Tutte indagini che aveva dato avvio a quell’enorme lavoro investigativo che
Dalla Chiesa e Russo, insieme con il Vicequestore Boris Giuliano e altri magnifici
investigatori, inviarono alla Procura della Repubblica e da cui trasse origine il
“Rapporto dei 114”. Da quel documento si sviluppò una istruttoria che si concluse
con il rinvio a giudizio di 114 persone. Erano secondo l’accusa, gli esponenti della
“nuova mafia”. Un impegno che tutti hanno pagato con la vita.
In quegli anni la mafia si stava adeguando rapidamente ai tempi nuovi, spostan-
do i propri interessi dal settore dell’agricoltura, a quello industriale e commerciale,
in particolar modo nel campo dell’edilizia e dei lavori pubblici. Russo, con il suo
acume investigativo, intuì le relazioni opache fra istituzioni, società civile e crimi-
nalità organizzata e comprese la pericolosità dei corleonesi e quanto espansiva
fosse la loro capacità di crescita. Nota è l’indagine condotta dal Colonnello sugli
appalti per la costruzione della “diga Garcia” tra Corleone e Roccamena. Allo stes-
so tempo a stretto contatto con la popolazione però, ne colse non soltanto i biso-
gni e le misere condizioni in cui versava, ma lesse fra le righe anche la speranza per
una società più giusta. Di Russo, Dalla Chiesa disse: “Aveva tutti e cinque i sensi
sviluppati, ma la mafia l’ha ammazzato“. E questo i mafiosi lo avevano ben com-
preso. Sapevano bene che il Colonnello Russo aveva intuito che Cosa Nostra stava
stendendo i suoi tentacoli sugli affari del secolo, come quello della costruzione
della “diga Garcia”, intorno a cui gravitavano enormi interessi economici. Per que-
sto decisero di chiudere il conto con lo “scomodo” Ufficiale dell’Arma.
La sera del 20 agosto del 1977, il Colonnello Russo fu giustiziato davanti a un
bar di Ficuzza, frazione di Corleone, mentre era in compagnia dell’amico profes-
sore Filippo Costa, scomodo testimone del delitto. A piangere davanti a quei corpi
irriconoscibili accorsero la moglie Mercedes, la figlioletta Benedetta, nove anni
appena e la moglie del professore.
Scibilia racconta nell’ultimo capitolo di un incontro avuto con Falcone, giudice saggio,
interprete profondo dell’umano agire, interessato ad acquisire informazioni sul Colonnello
Russo. L’autore del libro si aprì a quell’Uomo con la speranza di chi volesse affidare a lui il
compito di riscattare l’assassinio di un giusto. Il colloquio si conclude con le parole di
Falcone: “Si ritenga fortunato. Lei ha trascorso buona parte della sua vita con un Grande”.
La sua carriera lo portò a vivere una molteplicità di situazioni, nel corso delle
quali è stato dipinto come il più fedele dei servitori dello Stato, ma che, allo stesso
tempo, fu posto al centro di accuse e polemiche di varia natura. Dopo la sua morte
ci furono depistaggi per offuscare la memoria e la dignità dello straordinario inve-
stigatore. Le indagini però presero la giusta direzione grazie al lavoro svolto dal
Maggiore Subranni e dal suo Nucleo, che mettendo insieme importanti tessere
aveva scoperto uno scenario inquietante e ampiamente annunciato.
Il 29 ottobre 1997 la Corte d’Assise d’Appello di Palermo riconobbe la validità
dell’impianto accusatorio sostenuto da Falcone e Borsellino, condannando defini-
tivamente Totò Riina e Bernardo Provenzano come mandanti dell’uccisione del
Colonnello Russo e del professore Costa e quali esecutori Pino Greco, Vincenzo
Puccio, Giuseppe Madonia e Leoluca Bagarella.
La vita e la storia del Colonnello Russo finiscono una domenica d’estate del 20
agosto 1977, non il suo esempio però. Resta indelebile il valore dell’Arma, «Nei
Secoli Fedele», della memoria e dell’eredità che si affida a chi verrà dopo; anche a chi
non porta la divisa, ma vuole solcare le stesse orme di civiltà, di dignità, di legalità.
Sottotenente
Elisa Malangone
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