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LIBRI
Queste ultime, forse timorose all’idea dell’inizio della rivoluzione e non adegua-
tamente spalleggiate (quantomeno moralmente) dal Cominform sovietico e dalla
vicina Jugoslavia (non si dimentichi che era il periodo di tensione tra Stalin e Tito)
alla fine decisero di non agire e non diedero il via all’insurrezione generale.
Eppure quanto accaduto fu di lezione e di ammaestramento per tutte le parti in
causa, con conseguenze che, probabilmente, nemmeno ci si poteva immaginare
all’epoca.
Dal punto di vista meramente governativo si era appalesata l’esistenza (sino a
quel momento solamente ipotizzata) di un apparato militare clandestino comunista
con un vero e proprio piano insurrezionale (cosiddetto “Piano K”) ma si erano
anche viste le modalità insurrezionali, le risposte fornite dalle forze di polizia e,
quindi gli adeguati correttivi da porre eventualmente in essere. Paradossalmente, a
livello governativo (e quindi, essenzialmente, democristiano) quanto accaduto fece
anche comprendere come il terrore della rivoluzione rossa in realtà non dovesse
spaventare più di tanto tenendo presente che, in generale e salvo in alcune città
dell’Italia settentrionale, le forze di polizia avevano “retto il colpo” e le Forze
Armate non avevano avuto bisogno di intervenire. Peraltro a giudizio dell’autore,
e non si può che condividere, fu proprio questa “paura scampata” a permettere al
Presidente del Consiglio De Gasperi ed alla maggioranza governativa di non dover
arrivare alla soluzione estrema (e probabilmente - quella sì - miccia di una vera e
propria rivoluzione) della messa al bando del Partito comunista e delle associazioni
ed entità ad esso collegate.
Da parte comunista, invece, l’andamento insurrezionale aveva fatto compren-
dere tutte le difficoltà insite in una rivoluzione del genere, specialmente in assenza
di adeguato supporto (anche militare) da parte delle potenze del blocco orientale.
Essenzialmente ci si era resi conto che l’Apparato altro non era se non la somma-
toria delle strutture paramilitari (ex partigiane) delle zone dell’Alta Italia e pertanto,
allo stato, insufficienti per garantire alla rivoluzione la vittoria che ci si attendeva.
Come scrive lo stesso Pardini è probabilmente proprio con questi moti che, in
realtà, il Partito Comunista abbandona, se non teoricamente quantomeno sostan-
zialmente, ogni velleità di rivoluzione e di eversione dell’ordine costituito. Il
momento della rivoluzione, che forse nel luglio 1948 era arrivato ed era favorevole,
non sarebbe infatti più tornato.
Capitano
Ferdinando Angeletti
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