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PAGINE DI STORIA
Pisa, che pubblica alla fine degli anni ’90 dello scorso
secolo “Il linciaggio di Carretta, Roma 1944” (ed. Il Sag-
giatore, 1997). In precedenza, Zara Algardi, che fu te-
stimone dei fatti e poi magistrato, aveva scritto “Il pro-
cesso Caruso” (ed. Darsena, 1944) e “Processi ai fascisti”
(ed. Vallecchi, 1973) in cui aveva ripercorso la vicenda
collateralmente al tema principale dei due libri, comun-
que in termini piuttosto esaurienti. Più recentemente,
Walter Veltroni ha avuto il merito di disseppellire una
memoria da tempo arrugginita da un passato recondito
utilizzando il genere del romanzo, pubblicando “La con-
danna” (ed. Rizzoli, 2024). A parte queste eccezioni,
null’altro di significativo.
Ma addentriamoci negli accadimenti. In quel fatale lu-
nedì di settembre i protagonisti sono quattro: Pietro
Caruso, Donato Carretta, la folla e Giovanni Battista
Vescovo.
Pietro Caruso, classe 1899, era stato Questore a Verona GIAMBATTISTA VESCOVO, IN UNIFORME DA CAPITANO
in un momento molto delicato, durante il processo ai
gerarchi accusati di tradimento verso il duce per aver
aderito all’ordine del giorno di Dino Grandi durante ingenti di denaro, anche in valuta straniera, frutto delle
l’ultima seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943. razzìe dei suoi scherani, principalmente membri delle
Conclusasi quell’esperienza, era stato nominato Questore bande Koch e Bernasconi a cui, tra il 3 e il 4 febbraio,
di Roma, della Roma città aperta occupata dai nazisti. aveva tra l’altro ordinato di penetrare nella Basilica di
Poco prima dell’arrivo degli Alleati era riuscito a fuggire San Paolo, violandone l’extraterritorialità, arrestando oltre
verso Viterbo dove era stato istituito il centro di raccolta 60 tra ufficiali e antifascisti, lì rifugiatisi in quanto op-
degli appartenenti alla polizia italiana e tedesca in fuga positori del regime di Salò. Il 24 luglio 1944 era stato
verso nord, per raggiungere Salò. Ma a Vetralla la sua raggiunto da un ordine di cattura notificatogli in carcere
automobile era stata urtata da un’autoblinda tedesca ed emesso dall’Alto Commissario per la punizione dei delitti
aveva finito la sua corsa contro un albero. L’incidente gli fascisti, avvocato Mario Berlinguer (padre di Enrico)
aveva provocato la frattura delle gambe. Consapevole che riassumeva solo alcune e parziali sue responsabilità
dei rischi che sarebbero derivati da quell’infortunio, aveva (a cui seguiranno quelle ben più gravi che gli verranno
cercato di evitare cure e ricovero. Ma le sue condizioni poco dopo attribuite) con il capo d’imputazione: «prestò
non glielo avevano consentito. Sicché, la sua fuga si era attiva collaborazione con i tedeschi, che si concretò nell’ab-
interrotta presso l’ospedale di Bagnoregio (a nord di Vi- battere la sovranità italiana su parte del territorio nazionale
terbo) dove, nonostante avesse esibito un falso docu- e l’esercizio della legittima potestà delle istituzioni, in nu-
mento a nome di Pietro Caputo, era stato riconosciuto merosi omicidi, saccheggi e sequestri di persona, perquisizioni
da alcuni partigiani. Ricondotto a Roma, era stato in- ed arresti illegali, abusi di autorità».
carcerato a Regina Coeli. All’atto della sua cattura, erano Ora, dopo una serie di rinvii, l’attesa era terminata. Era
stati rinvenuti in suo possesso molti preziosi e somme giunto finalmente il giorno del processo tanto anelato.
6 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI - N. 5 ANNO IX