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STEREOTIPI E PREGIUDIZI




               evitino di riprodurre degli stereotipi sessisti nelle sentenze, di minimizzare la violenza di gene-
               re e di esporre le donne a vittimizzazione secondaria utilizzando argomenti colpevolizzanti e
               moralizzatori volti a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia (par. 141), dimostra
               come il processo prima e la sentenza poi costituiscano un insieme di “narrazio-
               ni”, che racchiudono esperienze, opinioni che il giudice adotta come quella più
               vicina al senso che gli appartiene, magari condizionati dai pregiudizi che com-
               promettono l’imparzialità e l’integrità delle decisioni.
                    La Corte di Strasburgo allora richiama ogni giudice a scardinare convin-
               zioni e stereotipi culturali che perpetuano la disuguaglianza di genere. L’assunto
               è che poiché la violenza maschile è un fenomeno radicato nella cultura, per con-
               trastarla è necessario un approccio sistemico che provveda a estirpare i modelli
               stereotipati, legati al rapporto e ai ruoli delle donne e degli uomini e che rap-
               presentano la chiave di lettura per comprendere il contesto in cui crescono e si
               alimentano le relazioni tossiche e violente.
                    La sentenza della CEDU ci mostra altresì, che nei reati di violenza di gene-
               re lo stereotipo giudiziario, compromette l’imparzialità in tanti modi: ridimen-
               sionando la violenza denunciata, distorcendo la realtà, colpevolizzando le vitti-
               me e ritenendole non credibili perché il loro comportamento non corrisponde
               a quello che si ritiene avrebbero dovuto assumere, omettendo elementi essen-
               ziali, comportando così una errata interpretazione delle norme giuridiche e inci-
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               dendo sulla decisione finale .
                    L’analisi qui riportata pone l’attenzione su un problema che è collettivo e
               che vede responsabili anche gli operatori del diritto. Nei casi esaminati abbiamo
               visto che spesso alle vittime di violenza si pongono domande intime che ledono
               la loro dignità: “perché non hai urlato?”, “perché non hai reagito?”, “perché ha
               atteso tanto per denunciare?”. Ma molte volte non si tiene conto che la rico-
               struzione del fatto deve basarsi su quanto è accaduto e non su quanto avrebbe
               dovuto accadere secondo valutazioni personali dell’esaminatore.
                    Questo approccio si avvalora se si tenta di ricostruire il fatto per il tramite
               di domande che attengono la sfera intima e la moralità della persona offesa o
               ancora le sue abitudini relazionali e comportamentali e che non ha nulla a che
               vedere con la validazione processuale del fatto in questione, condizionando tal-
               volta anche le stesse vittime nelle loro dichiarazioni. È opportuno invece con-
               sentire alla persona offesa di svolgere la testimonianza nel modo più genuino e
               spontaneo possibile.


               20   R. Cook-S. Cusack, Gender Stereotyping Transnational Legal Perspectives, in University of  Pennsylvania
                    Press, 2010; C. Steele, Whistling Vivaldi: And Other Clues to How Stereotypes Affect Us,
                    New York, 2010.

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