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Coordinamento Territoriale per l’Ambiente per il Parco Nazionale
            delle FORESTE CASENTINESI, MONTE FALTERONA E CAMPIGNA


            schite ai fini di difesa idrogeologica dei versanti,  sono state via via accor-
            pate ai nuclei storici delle Foreste Casentinesi, già di proprietà Grandu-
            cale, e ancora prima della repubblica fiorentina. Altre importanti foreste
            storiche del parco sono quelle legate ai santuari di Camaldoli e La Verna.
               Il carattere peculiare del parco è dato senza dubbio dall’estrema varia-
            bilità e ricchezza biologica di vaste superfici, dovuta alla distribuzione di
            aree forestali di antica origine, conservate grazie alla prudente e prolun-
            gata gestione pubblica. Si tratta di una notevole estensione di fustaie di
            eccezionale interesse scientifico e documentale. Oltre a Sasso Fratino, che
            è certamente l’emblema di questa favorevole e secolare esperienza, esisto-
            no numerosi altri lembi di foreste vetuste, con realtà di eccezionale inte-
            resse a Campigna, la Lama ed alla Verna. Vi sono poi i complessi forestali
            gestiti e soggetti a tradizionali ordinamenti selvicolturali, ora in fase di
            adattamento nella nuova realtà del parco, indirizzati a criteri meno con-
            dizionati da prevalenti obbiettivi di produzione. Anche in questo senso le
            Foreste Casentinesi rivestono un ruolo di efficace laboratorio di gestione e
            sperimentazione, per la verifica dell’applicazione di modelli colturali
            innovativi ed esportabili altrove, nell’interesse della tutela e dell’espan-
            sione della diversità biologica.
               In un contesto così particolare, che esalta la vocazione forestale del
            comprensorio, l’istituzione del parco ha legato ad un comune destino di
            conservazione le aree demaniali già difese da rischi di speculazione od
            aggressione ambientale, e le superfici di proprietà privata interconnesse,
            eliminando inclusioni e preesistenti ambiti di libera caccia. Ciò ha deter-
            minato effetti pronti e documentati nei riguardi della fauna selvatica. La
            protezione di un comprensorio seppure non troppo vasto, ma strategica-
            mente distribuito lungo il crinale appenninico, non distante da ulteriori
            ambiti di tutela della natura, ha indotto la formazione di corridoi ecologi-
            ci ed aree di tutela decisivi per il recupero di vari elementi di fauna rara e
            protetta, come il lupo, l’aquila o il picchio nero. Lo stesso effetto è stato
            risentito anche dai grandi ungulati presenti nel comprensorio. Il cervo in
            particolare, reintrodotto nell’area dal Corpo Forestale dello Stato nel
            secondo dopoguerra, rappresenta oggi un popolamento in espansione che
            conta oltre 3.000 esemplari censiti. Altra specie di rilievo è il cinghiale,
            introdotto negli anni ’70 per scopi venatori nei fondovalle del Casentino e
            della Romagna, ed irradiatosi ovunque, sfruttando ogni opportunità di
            rifugio ed alimentazione. Il daino mantiene alcuni gruppi piuttosto stabi-
            li, mentre il capriolo risente della competizione alimentare andando a cer-
            care aree favorevoli più a valle. L’ampia e costante disponibilità di prede
            tra i popolamenti selvatici ha fatto si che anche il lupo abbia potuto tro-
            vare condizioni assai favorevoli di reinsediamento, senza produrre parti-

                                                          SILVÆ - Supplemento al n. 12 - 67
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