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Coordinamento Territoriale per l’Ambiente per il Parco Nazionale dell’APPENNINO TOSCO EMILIANO


               L’area protetta è attraversata e profondamente incisa dai torrenti
            Parma, Baganza e Ozola e dal fiume Secchia, oltre che da numerosi altri
            corsi d’acqua minori, che individuano profonde gole, salti e pareti di roc-
            cia. In alcuni punti le bancate arenarie più resistenti contrastano l’ero-
            sione torrentizia, formando affioramenti rocciosi sub-verticali nei quali
            sono riconoscibili gli strati della roccia: è il caso degli “Scaloni” presso
            Bocca di Scala e degli “Schiocchi” nella parte emiliana. Queste aree così
            impervie dei versanti vallivi rappresentano nicchie ecologiche per rare
            specie di vegetali ed animali, tra cui, in particolare, l’aquila reale.
               Stesse caratteristiche si rinvengono nel versante meridionale del
            Monte Buffanaro o del Monte Marmagna e nelle pareti esposte a meridio-
            ne della Pietra di Bismantova.
               Una peculiarietà che caratterizza le montagne appenniniche ricom-
            prese nel parco nazionale e, conseguentemente, la flora e la fauna, è la
            posizione geografica delle stesse, riparate dalle miti correnti tirreniche
            dalle Alpi Apuane, ed esposte ai freddi venti continentali nel versante
            emiliano; tutto questo determina condizioni climatiche molto particolari,
            che nel passato hanno consentito la formazione di grandi ghiacciai.
               La fauna del Parco è rappresentata ancora oggi da numerosi “relitti
            glaciali”, ovvero specie che hanno colonizzato l’Appennino settentriona-
            le durante le glaciazioni e che sono riuscite a sopravvivere,  attestandosi
            nelle località più fredde dell’alta montagna.
               Alle quote inferiori ai 1.000 metri predominano i querceti con cerro.
            A queste quote compaiono anche il carpino e, sporadicamente, il ciliegio
            selvatico.
               In tali aree, tuttavia, molti boschi sono stati trasformati in castagneti
            da frutto, coltivati in parte ancora oggi, ma in prevalenza abbandonati.
               Altre aree sono caratterizzate da rimboschimenti artificiali con resi-
            nose (prevalenza di abete bianco e rosso, ma anche pino nero austriaco)
            realizzati nel passato dal Corpo Forestale dello Stato al fine di contrasta-
            re i dissesti legati ai passati disboscamenti.
               Sopra i 1.000 metri dominano le faggete, sia allo stato puro che in con-
            sociazione con l’abete bianco.
               Le foreste del parco, una volta assai estese, dopo un  intenso sfrutta-
            mento nei secoli passati, sia per il legname che per la pratica del pascolo,
            stanno ora spontaneamente ricolonizzando i terreni e i versanti dei monti;
            ne sono traccia le formazioni estese di arbusteti. Le foreste di querce, i
            castagneti e, in minor misura, le faggete sono popolate da cinghiali, caprio-
            li e cervi che le frequentano, assieme alle radure erbose e cespugliate, per
            alimentarsi. La catena trofica, limitata ai mammiferi, arriva al lupo, carni-
            voro di cui nel Parco sono censiti almeno due siti di rendez-vous ovvero luo-

                                                          SILVÆ - Supplemento al n. 12 - 57
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