Page 2 - Forestale N. 77 novembre - dicembre 2013
P. 2
Il Forestale n. 77 60 pagine 29-11-2013 17:09 Pagina 3
EDITORIALE
Dissesto, un rischio prevedibile
Italia frana, non è una novità. È un paese geologicamente giovane. Franano le cime aguzze dolo-
mitiche, frana il giovane Appennino, le coste a picco che si tuffano nel mare, scivolano le colline
L’ solcate da fiumi che in realtà sembrano più torrentoni stagionali sempre pronti a gonfiarsi a dismi-
sura per poi tornare ad essere quasi dei rigagnoli silenziosi. Frana, trema e si modifica come accade da
sempre. Spettacolo magnifico e crudele al tempo stesso. Fenomeni che non turbano l’equilibrio della natu-
ra ma che sono devastanti per la vita umana aggrappata a questo suolo incerto.
Si cercano le cause e le responsabilità di morti disastrose provocate da eventi definiti imponderabili. Se si
analizzano molti di questi casi si comprende come in realtà tante tragedie annunciate possano essere in
realtà contenute. Si è perso nel tempo il senso sacro dell’abitare, dell’oikos in cui è insito il mantenimento
di quell’equilibrio congeniale tra gli elementi naturali, le culture e le rappresentazioni dell’essere di cui
anche l’abitare è parte.
Heidegger sosteneva che “abitare non è primariamente occupare, ma avere cura e creare quello spazio nel
quale qualcosa sorge e prospera”. Senza dubbio le culture antiche dalla durata millenaria erano più “soste-
nibili”, sapevano meglio di noi stabilire un rapporto vivibile con la natura attraverso tecnologie spirituali e
sociali a noi uomini razionali sconosciute, eppure efficaci. C’erano luoghi sacri che neppure re ed impera-
tori potevano profanare. Oggi invece una miriade di norme, vincoli e un affastellarsi di competenze
gestionali e di controllo non riescono a frenare lo sfregio del territorio, il consumo del suolo e un’edilizia
senza criteri. Negli ultimi quindici anni una superficie superiore a quella dell’intera Toscana è stata cemen-
tificata e si continua con un ritmo di circa cento ettari al giorno in una situazione di forte rischio, basti
pensare che in 6.600 comuni su 8.000 esiste il vincolo idrogeologico.
Il federalismo ambientale come tante altre forme di decentramento è in crisi. Manca spesso la prevenzio-
ne e molte strutture non sono realmente operative. Poi tocca allo Stato centrale intervenire dopo i disastri
e contare morti e danni, senza parlare dell’immenso dispendio economico che grava su tutti i cittadini.
Mettere in sicurezza tutto il Paese sarebbe impossibile. Ma occorre fermare assolutamente il sorgere di altri
insediamenti a rischio. Molto poi si potrebbe fare con spese contenute per aiutare l’acqua a trovare una
strada più lenta e ordinata verso valle. Non è difficile. Basterebbe affacciarsi, per esempio, in una delle 130
aree naturali protette dello Stato gestite dal Corpo forestale dove da oltre un secolo i Forestali realizzano
opere di ingegneria naturalistica di grande efficacia: poco cemento, più legname e pietre reperite sul posto.
Qui i versanti più esposti resistono, le briglie e gli argini dei corsi d’acqua vengono ripuliti periodicamen-
te. La conoscenza delle sistemazioni idraulico forestali si è quasi persa ma i Forestali cercano gelosamente
di custodirla e tramandarla a beneficio di chi oggi ha la responsabilità della difesa del suolo. Come accade
nel Centro polifunzionale di Castelvolturno strappato alla camorra dove si tengono corsi per gli operai
forestali e gli antichi saperi si tramandano attraverso nuovi protocolli operativi, oppure come avviene con
i detenuti del carcere di Nisida che imparano a prevenire frane e smottamenti sotto l’occhio esperto dei
Forestali. Un tentativo di riappropriazione del territorio per l’affermazione di una socialità che non sia avul-
sa da mondo che ci circonda.
Cesare Patrone
Capo del Corpo forestale dello Stato