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PAGINE DI STORIA






                                                   D’ANNUNZIO AVIATORE


                Il Vate, si sa, è a dir poco irrequieto ed impaziente.  dall’occhio destro per il distacco della retina. Dopo
                Lo  attrae  tutto  ciò  che  è  dinamismo  e  velocità,  un breve periodo di convalescenza si ritufa al fronte
                rischio ed ardimento, follia e temerarietà. All’inizio  in azioni di terra per poi riprendere a volare anche
                della Grande guerra trovano impiego i primi aerei e,  contro il parere del medico che è costretto a rassegnarsi
                dunque, l’aviazione è il campo ideale in cui trovare  in  quanto  «il  suo  caso  segna  una  volta  ancora  la
                esaltazione e donare godimento alla sua disinibita  bancarotta della scienza». Nel maggio 1917, riceve la
                ed eccentrica personalità. È ancora il 1909, quando  terza medaglia d’argento al valor militare per aver
                a Montichiari, da vero precursore del volo, d’Annunzio  partecipato  ad  una  gagliarda  incursione  aerea  sul
                consegue  il  brevetto  di  pilota  e,  mutuandolo  dal  Carso. Con i tre raid notturni sulle postazioni au-
                latino, inventa per l’aereo il termine “velivolo”. Dopo  striache di Pola ottiene la promozione a Maggiore.
                nemmeno due mesi dall’inizio della guerra concepisce  In occasione di questa missione conia il motto “eia
                già la sua prima impresa: lanciare volantini su Trieste  eia alalà” per scalzare il “barbarico hurrah anglosassone”,
                per rassicurare la popolazione che trepida per la li-  riesumando il grido di battaglia degli opliti greci,
                berazione dagli austriaci. È costretto a rinunciare.  evocante la divinità Alalà, fondendolo con l’incitazione
                Ma il suo battesimo del fuoco non tarda a venire.   “eia eia” con cui Alessandro Magno spronava il suo
                Ad agosto sorvola Grado e a settembre Trento, lan-  cavallo Bucefalo. Geniale pensata di un istrione che
                ciando volantini propagandistici in entrambe le oc-  dell’eccitazione  faceva  propellente  anche  verso  i
                casioni.  Le  sue  pionieristiche  scorribande  aeree,  soldati in trincea prima di un assalto. Lo stesso Ge-
                talune avversate dai vertici di forza armata ed ancora  nerale Armando Diaz, comandante del XXIII Corpo
                dal Governo, proseguono; nel gennaio 1916, rientrando  d’Armata,  dovette  constatare  che  «se  d’Annunzio
                da un sorvolo su Trieste è costretto ad un ammaraggio  potesse parlare ai soldati prima di ogni battaglia, questa
                d’emergenza, si ferisce gravemente e perde la vista  sarebbe per tre quarti vinta».



            raggiungere il Giappone. Si affranca dall’iniziale scarsa  E manterremo il giuramento, perché i granatieri hanno una
            simpatia che conservava nei confronti del poeta e, per  fede  sola  e  una  parola  sola.  E  voi  non  fate  nulla  per
            l’appunto, nella missiva ammette che, nel tempo, in lui  Fiume?». All’alba del 12 settembre 1919, la colonna di
            «era  subentrata  la  dovuta  ammirazione  per  quanto  di  “ribelli” muove da Ronchi dirigendosi a Fiume. L’ope-
            grande seppe fare come soldato». Non appena però pren-  razione,  per  nulla  condivisa  dal  Governo,  costrinse
            derà coscienza del naufragato ambizioso progetto avia-  l’Esecutivo a vivere momenti di profondo travaglio in-
            torio e delle concrete velleità di d’Annunzio su Fiume,  terno, potendosi rischiare uno scontro fratricida, nonché
            Cabruna sposerà appieno la causa. Sarà il primo pilota  di imbarazzo internazionale per il fatto che Fiume era
            ad atterrare nella città istriana.                      pur sempre governata da un’amministrazione interal-
            Ogni temporeggiamento venne infranto dall’iniziativa    leata. D’Annunzio pronunciò il suo “disubbidisco” e, sep-
            dei cosiddetti “sette giurati di Ronchi”, sette giovani uf-  pur febbricitante, a bordo di una Fiat Tipo 4 cabriolet,
            ficiali del 2° Reggimento Granatieri di Sardegna, avvi-  si pose alla testa dei reparti indossando la sua uniforme
            cendato a Fiume dalla Brigata Regina. I granatieri, in  di Tenente Colonnello dei Lancieri di Novara. Al con-
            attesa di rientrare a Roma, erano stati dislocati a Ronchi  tingente, composto dai granatieri, dagli arditi e da re-
            di Monfalcone. Il 28 agosto, i sette ufficiali, silenziosa-  duci che avevano rispolverato l’uniforme di guerra, si
            mente sostenuti dai loro superiori, lanciarono un ap-   unirono nei pressi di Fiume i legionari di Host Venturi
            pello  per  l’annessione:  «Noi  abbiamo  giurato  sulla  (Ronchi venne in seguito ribattezzata “dei Legionari”,
            memoria di tutti i morti per l’unità d’Italia: Fiume o morte!  toponimo che conserva tutt’oggi). In totale oltre 2.500



            10 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI - N. 1 ANNO IV
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