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© G. Salari EDITORIALE
Il tempo delle terre vicine
lobalizzazione e mondialismo ci hanno donato la a-territorialità. Al desiderio faustiano per una
vorace smania di infinito e di potenza prometeica che generano il villaggio globale e la disso-
G luzione tecnologica dell’idea di spazio, arrivando perfino a trasformare la casa in un sito
multimediale senza mura, si contrappone l’energia vitale di quanti tentano di ristabilire i legami con il
suolo e le radici che la cultura esprime in archetipi legati alla dimensione del sacro. Un processo di
riterritorializzazione identitaria che porta a nuovi localismi, alle piccole patrie, alla costruzione di un
paesaggio vivente e naturale. Il valore quasi epifanico della crisi economica internazionale ha accele-
rato questo scontro in cui l’uomo, finora schiavo dei titani, torna a guardare agli dei. Dopo il nichilismo
post moderno riemergono interessanti riletture della tradizione. Ad uno spazio disomogeneo e vuoto,
utopico, nel senso di non luogo, si contrappone il luogo conscio di una propria originale fisionomia
qualitativa, che è il paesaggio dotato di una individualità corporea la quale va preservata con la rico-
struzione della comunità e non imponendo logiche economiche esogene.
L’ideale dei luoghi plurali si confronta in modo crescente con l’omologazione della tecnica e dei mer-
cati che, nelle speculazioni finanziarie al computer, perdono il senso del territorio. Ecco allora
affacciarsi la nuova utopia dell’ecomunicipalismo. La bioregione o ecoregione intesa come entità spa-
ziale coerente che interpreta una omogeneità geografica, sociale e storica. La velocità di internet si
deve confrontare con le “città lente” che riscoprono sapori antichi, sistemi di produzione e di com-
mercializzazione corti. In questo contesto l’alimentazione è un fattore centrale, è il modo con cui ci si
prende cura del proprio corpo. Ma i corpi sempre più disfatti e privi di controllo diventano ricettaco-
lo di sostanze artificiali e il luogo dove si scatenano i conflitti tra mondo interiore ed esterno, sono
un indicatore del disagio che si crea nel rapporto ormai alterato tra uomo e ambiente.
Non sarà allora un caso se, almeno a giudicare da una recente analisi della Coldiretti su dati ISTAT,
emerge che oltre dieci milioni di italiani vivono nei piccoli comuni, mentre solo poco più di sette milio-
ni hanno scelto una delle sei grandi metropoli con più di 500 mila abitanti. È un richiamo al piccolo
borgo antico? Una tappa verso il ritorno al bosco? Certo è che il 55 per cento dei nostri connazionali
vorrebbe abitare in un centro con meno di 5.000 abitanti.
Non si tratta però di feticizzare le proprie radici, di blindare i confini e impedire il riconoscimento del-
l’identità nell’alterità. È l’affermarsi del concetto di soglia, di limen a guardia dei quali si pone il Genius
Loci, custode dell’originalità creativa di una determinata comunità, la stessa che ha contribuito alla
nascita dell’“uomo singolare” protagonista del Rinascimento italiano in cui la diversità culturale e poli-
tica anticipa il risveglio dell’uomo moderno. Il locale non è dunque un microcosmo chiuso ma un
nodo in una rete di relazioni trasversali che favorisce la qualità della vita.
Nel tempo delle “terre vicine” per recuperare il senso del luogo non è necessario rinunciare alla con-
cezione antropocentrica in cui la politica rimane saldamente alla guida delle scelte, mentre la cultura
diviene lo strumento attraverso il quale riconoscere il mondo, una politica però dal volto umano inse-
rita in contesti reali entro i quali l’uomo ritrova il senso etico dell’abitare e del partecipare, riscoprendo
la terra, l’estasi e la meraviglia che essa sa ancora generare.
Stefano Cazora
Dal 14 al 18 ottobre a Roma, a piazza del Popolo, 187 ° Annivesario di fondazione del Corpo forestale dello Stato.
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