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Editoriale


               non per abborracciare, ma perché scopo della rivista è piuttosto quel-
               lo di suggerire linee di dibattito e proporre ipotesi di soluzione su te-
               mi che attengono non solo alla stessa vita istituzionale del Corpo, ma
               all’intera società civile. Nei confronti della quale si profila un avvenire
               sulle cui prospettive si addensano le nubi di una violenta polemica tra
               studiosi che rischia di ingessare ogni iniziativa utile a far sì che l’uma-
               nità eviti le soglie del baratro su cui, secondo alcuni, sta pericolosa-
               mente inclinando.
                  Non importa qui stabilire quanto tempo l’uomo abbia ancora a di-
               sposizione per evitare la catastrofe; è certo che qualcosa deve pur fa-
               re, ed anche in fretta, ancorché i “tempi” dell’universo non siano mi-
               surabili con quelli dell’uomo. Ma da dove cominciare? E chi deve fare
               il primo passo? Il discorso è ben più ampio di quanto possa a prima
               vista apparire, non foss’altro che per l’immensa mole sia degli interes-
               si in gioco (nota comunque dolente, e forse neppure risolvibile in as-
               soluto), sia della globalità planetaria degli aspetti che vi concorrono:
               la siccità e le risorse energetiche, la sovrappopolazione e la distribu-
               zione delle ricchezze, il potere economico e quello politico, lo spazio
               vitale e la vita nello spazio, sia pure non inteso in senso universale.
               Fioccano gli studi, non mancano le commissioni, si organizzano in-
               contri, dibattiti, convegni, seminari, tutti la loro parte a sostenere una
               tesi magari per confutare quella emersa nell’incontro, nel seminario o
               nel convegno precedente. Una cosa appare tuttavia certa: sia pure per
               interessi contrapposti, mai nel mondo si è tanto parlato di Terra,
               Terra intesa proprio nella sua globalità, come da vent’anni a questa
               parte, da quando in particolare, era proprio il 1987, la commissione
               Brundtland ha redatto su mandato dell’ONU il rapporto “Our
               Common Future” con il quale dando di “sviluppo sostenibile” una
               definizione che coniuga le aspettative di benessere e di crescita eco-
               nomica con il rispetto dell’ambiente e la preservazione delle risorse
               naturali, ha di fatto dato la stura ad un dibattito che si è incrociato tra
               scienza e politica, tecnologia ed economia, etica e ortodossia, che è
               passato per il vertice di Rio (1992) e il tanto discusso Protocollo di
               Kyoto (varato nel 1997 ma applicato solo dopo il 2005 e senza l’ade-
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               sione degli Stati Uniti), e che è tuttora oggetto di animate controver-
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