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Editoriale


               bia la società, e questa cambia perché, soprattutto, cambia l’uomo.
               Cambiano le sue abitudini, il suo modo di relazionarsi con gli altri e con

               se stesso, il modo di lavorare, di riposare, di divertirsi, di curarsi, di spo-
               starsi, di intendere e di programmare la propria vita, di progettare il
               futuro, suo e dei propri discendenti.
                  Ecco dunque che è l’uomo il centro, il fulcro, il “focus” di questa

               nuova dimensione sociale, di cui la città è crocevia e intersezione.
                  Nel disegno, nel progetto, nell’intuizione della città futura è per que-
               sto verosimilmente anacronistico che oggi si faccia riferimento alla
               polis, all’acropoli, all’agorà, elementi di base di quello che è stato il

               primo nucleo della nostra vita sociale e verso i quali non è tuttavia
               infrequente il ricordo, l’accenno, la memoria. Ma se è anacronistico in
               termini di mera riproposizione di una società che non c’è più, il riferi-
               mento al passato è utile, diremmo indispensabile, nello spazio sociocul-

               turale che deve impegnarci nel disegnare il nostro futuro. Non sappia-
               mo come i primi urbanisti dell’Attica abbiano progettato le loro polis,
               né se si siano fatti aiutare da sociologi e politici, o se siano invece stati
               propri questi ultimi a determinare le scelte di quelli: c’erano, non ci

               sono dubbi, necessità di ordine pratico, funzionale, militare, di vera e
               propria lotta per la sopravvivenza. Che si è poi riproposta, in termini
               assai analoghi, nei Comuni del nostro Medio Evo. Per ampliare succes-
               sivamente i primitivi confini naturali sia per l’affrancamento militare sia

               soprattutto per la pressione demografica. La rivoluzione industriale – e
               siamo in pratica ai nostri giorni – ha fatto il resto.
                  Lasciando tuttavia spazio proprio alle attuali dispute per le quali
               valga un frammento di Simonide (“La città è maestra dell’uomo”) o

               l’asserzione di Thomas Fuller (“Gli uomini, non le case, fanno le città”)
               non si può comunque non ripartire dall’uomo, dalla sua essenza, dal
               suo essere al centro della vita, dal suo itinerario culturale e spirituale.
          Anno
               Dovremmo non tanto spiegare la città da urbanisti, ma chiederci quale
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