Page 260 - Rassegna 2024-1
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INSERTO




                  Se chiediamo a chiunque di descrivere una tipica violenza, il cliché comune
             evocherà l’immagine di un estraneo, magari straniero, talvolta con disturbi psi-
             copatologici nei confronti di una giovane e bella donna, che vi resiste attiva-
             mente, urlando e scappando. Questo scenario però è soltanto uno stereotipo
             tramandato da una cultura millenaria, necessaria a rendere impunito lo stupro e
             a giustificarne i carnefici, in contrasto però con quella che è la realtà.
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                  Infatti,  gli  studi  condotti  da  decenni ,  dimostrano  che  i  casi  di  stupro
             sono commessi da persone prive di patologie e ben consapevoli. Persone di cui
             la vittima si fida, perché conoscenti o parenti, che si trovano all’interno di luo-
             ghi protetti, di mura domestiche, spesso in condizioni di minorata difesa, spa-
             ventate e intimorite da non riuscire a reagire.
                  Quanto delineato si fonda quindi, su una serie di falsi miti che sembrano
             quasi delineare la figura della vittima ideale di stupro, la quale presenta una serie
             di caratteristiche: quella che riporta sul corpo segni ben visibili della violenza;
             quella che durante l’atto dice un forte e chiaro “no”; quella che corre subito a
             denunciare; quella che non indossa un certo tipo di biancheria o non beve alco-
             lici. La “vera vittima”  allora, è il frutto dell’idea della donna che il patriarcato
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             impone, ovvero è un insieme di regole rigide che stabiliscono cosa una donna
             può e non può fare, cosa deve indossare, quali posti frequentare, come deve
             reagire, altrimenti a priori sono considerate bugiarde.
                  E tutti coloro che appartengono al contesto giudiziario nei processi di stu-
             pro, che raccolgono prove e che valutano le dichiarazioni delle vittime talvolta,
             sono intrisi, anche inconsapevolmente dal cosiddetto “mito dello stupro”.
                  Occorre evidenziare altresì che, la violenza contro le donne ancora oggi,
             nelle aule di giustizia, in particolare in ambito civile, viene sottovalutata, non
             riconosciuta  e  spesso  letta  come  “conflitto  familiare”,  concetto  ben  diverso
             dalla violenza. Ci troviamo in una ipotesi di conflitto infatti, quando tra due
             persone si ingenera un contrasto in relazione a interessi o bisogni diversi, ma
             viene comunque rispettato un sostanziale equilibrio tra le parti.
                  Nella violenza, invece l’equilibrio viene meno, perché una delle parti deter-
             mina una privazione della libertà personale, compiendo intenzionalmente atti
             che  ingenerano  nell’altro  sofferenze  psicologiche,  fisiche  o  sessuali,  creando
             così nella relazione una posizione dominante e prevaricatrice da un lato e uno
             stato di sottomissione, ansia e timore dall’altro.

             13   J. Temkin e B. Krahe, Sexual Assault cit. e Pinna A.N., Uno sguardo sulla prassi. Considerazioni
                  a margine di una ricerca empirica sulla giurisprudenza del Tribunale di Milano in Sistema
                  penale 25 novembre 2020.
             14   www.questionegiustizia.it/articolo/la-corte-edu-alla-ricerca-dell-imparzialita-dei-giudici-
                  davanti-alla-vittima-imperfetta.

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