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n pieno Salento la strada che, sulla costa adriatica, da Tricase conduce a Tricase Porto, dopo
             una curva, alla fine di una ripida salita, si biforca ed ecco comparire un patriarca verde, un dol-
             men vivente; un albero con un tronco di circa 4,5 metri di circonferenza e la cui chioma copre
          I una superficie di circa 750 metri quadri.
          Le sue branche principali, inserite quasi perpendicolarmente sul tronco, sembrano altrettanti grossi
          alberi radicati non nella terra ma sul durissimo legno, quasi a sfidare l’universale legge della gravi-
          tà. La chioma è maestosa; sotto di essa anche durante le ore centrali del giorno i raggi del sole
          filtrano a fatica e, per poterla apprezzare in tutto il suo splendore, è necessario allontanarsene per
          diverse decine di metri. È La quercia Vallonea di Tricase.
          Questa, con i suoi oltre 600 anni di età (non 800, come erroneamente riportato sul cartello ad essa
          sottostante), è uno degli ormai pochi esemplari della specie esistenti in Italia e richiama visitatori e
          studiosi da ogni parte del mondo. Trovarsi al cospetto di questa “grande madre” suscita meraviglia,
          incute rispetto e lascia intravedere la storia che essa porta negli anelli del suo legno.
          La Vallonea è una quercia che può raggiungere i 25 metri di altezza e ha foglie  semipersistenti: la
          defogliazione avviene infatti nella primavera del secondo anno e, solo quando la nuova vegetazio-
          ne comincia a costituirsi, le vecchie foglie, completamente ingiallite, si staccano dal ramo. Pur
          essendo quindi una pianta tecnicamente a foglia caduca non rimane mai completamente defoglia-
          ta; interessante accorgimento della natura per proteggere le gemme, durante l’inverno, dai benché
          rari ma a volte severi abbassamenti di temperatura dovuti, nella penisola salentina, alle incursioni
          di aria fredda proveniente dai  Balcani.
          Estremamente interessanti sono le ghiande che la Vallonea produce. Fino a 5 centimetri di lun-
            ghezza e 3 di diametro, questi enormi frutti, grazie alla grande quantità di tannino in essi
                contenuto, erano utilizzati in passato, per la concia delle pelli. La polvere da concia ricava-
                               ta da questi particolari frutti ebbe, soprattutto nell’Ottocento, un grande
                                   valore commerciale e venne esportata in tutta Europa. La presenza di
                                   numerose vasche scavate nella roccia calcarea sulle coste del Salento
                                    meridionale è probabilmente dovuta proprio all’attività dei concia-
                                    tori di pelli che all’interno di tali vasche, grazie alla disponibilità
                                    delle ghiande di Vallonea, svolgevano il proprio lavoro.
                                    Riguardo all’areale di origine di questa specie, mentre è ormai certo
                                    il suo indigenato nel bacino del mediterraneo orientale ed in Asia
                                  Minore, forti dubbi ci sono riguardo ai nuclei della specie presenti in
                                 Italia, che si incontrano in una ristrettissima area vicino Tricase.
                                  Molto più accreditata l’ipotesi che questa specie sia stata importata dai
                                   Saraceni che, considerando fondamentale la disponibilità dell’ache-
                                     nio da essa prodotto per la concia delle pelli, l’hanno introdotta e
                                      coltivata nel basso Salento dove, fino ad alcuni secoli fa, ne
                                       dominava probabilmente il paesaggio.

                                       Nella leggenda

                                        La maestosa quercia di Tricase è conosciuta come la “Vallonea
                                        dei Cento Cavalieri” per aver offerto, secondo la leggenda, la
                                        propria ombra a Federico II ed alla sua corte, alla fine del XII
                                        secolo. Eppure, anche se la pianta oggi avesse 800 anni (e non
                                       600 come ritenuto dai più accreditati dendrocronologi) al tempo
                                        di Federico II sarebbe stata non più di un insignificante virgul-
                                        to, incapace di fare ombra anche ad uno solo dei cento cavalli
                                       di cui parla la leggenda.


                                                                         Il Forestale n. 46 - 17
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