Page 4 - Il Forestale n. 60
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Un’orsa con i piccoli al seguito che viene disturbata può avere un comportamento di difesa della
prole del tutto simile a quello, per esempio, del fedelissimo cane domestico o del casalingo gatto.
Come pure è noto che, per evitare possibili calci, normalmente non si sosta con fare agitato die-
tro le zampe posteriori di un cavallo o di un mulo. Ma con questi animali abbiamo maggiore
confidenza e sappiamo in genere come regolarci.
Come al solito la fobia per gli sconosciuti e per i diversi ci porta spesso a trovare soluzioni pre-
potenti ed egoiste fra le più assurde, come il trasferimento coatto di animali, che in realtà di
problematico non hanno proprio nulla, se non l’idea di avvicinarsi all’uomo (ma non sarà il con-
trario?). A chi pensa di risolvere il problema catturando tutti i lupi e gli orsi dobbiamo dire allora
che di strutture di accoglienza bisognerà costruirne tantissime, perché gli incontri ormai sono
sempre più frequenti in tutta la Penisola e le proiezioni ci dicono che boschi e fauna cresceran-
no ancora, così come avviene nel resto d’Europa. E poi che faremo di milioni fra cinghiali,
camosci, cervi, caprioli, stambecchi? Anche loro finiranno in campi di rieducazione o saranno
destinati a finire tutti sotto il fuoco delle carabine? Sì, perché se non se ne conosce il comporta-
mento anche uno stambecco o un cervo possono essere a loro modo pericolosi. Questa
incapacità di relazione, la mancanza di abitudine a trovare soluzioni pure esistenti e collaudate
che consentano attività quali l’allevamento, fanno propendere alcuni per scelte che in poco tempo
potrebbero farci tornare alla situazione di appena 40 anni fa.
Gli strumenti culturali, scientifici e tecnici per una possibile coesistenza ormai ci sono, l’uomo
che ha conosciuto l’assenza della fauna e ne ha ricercato il ritorno sa come garantire un nuovo
rapporto fra specie. Un rapporto che deve essere scevro da ideologie o sentimentalismi, ma basa-
to sulla concretezza. I cinghiali che vagano ormai nei terreni periurbani delle grandi città,
l’invasione di caprioli e cervi in areali ristrettissimi sono evidentemente il frutto di politiche di
gestione del territorio sbagliate. La gestione della fauna selvatica è una questione complessa che
richiede molta professionalità e soprattutto linee omogenee e non può limitarsi a qualche azzar-
dato “lancio” di animali a scopo venatorio. Né le politiche protezioniste possono pensare che in
un territorio così fortemente antropizzato possa essere vincente un’ignava tecnica del lasciar fare
al caso.
Dal piano mediatico il tema deve ora spostarsi a quello dello politica, ossia delle scelte che lo
Stato in tutte le sue articolazioni centrali e locali deve compiere. Una maggiore razionalizzazio-
ne delle troppo frazionate strutture amministrative che si occupano di territorio e ambiente
potrebbe, per esempio, giovare ad attuare politiche efficaci in grado di dare soluzioni ai proble-
mi segnalati dalle cronache contemporanee che diversamente rischierebbero di rimanere
simpatici racconti estivi.