Rivista tecnico-scientifica ambientale dell'Arma dei Carabinieri                                                            ISSN 2532-7828

DIRITTO 
IL CONCETTO DI PERICOLO NEI REATI AMBIENTALI
11/05/2022
Gen. D. (ris) Avv. Giuseppe GIOVE



Con la legge n.68 del 2015 sui c.d. “ecoreati” viene inserito un sistema normativo finalizzato ad una risposta sanzionatoria a fenomeni criminali di aggressione all’ecosistema e vengono inseriti sette articoli che introducono nel Codice dell’Ambiente una “parte sesta-bis”, sugli aspetti sanzionatori degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale, prevedendo un meccanismo di estinzione delle contravvenzioni ambientali che non cagionano danno o pericolo concreto ed attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. I menzionati concetti di danno e pericolo impongono alcune riflessioni sull’assetto normativo, sia per la modalità sia per il livello di offesa al bene giuridico protetto.


In 2015 has been adopted law nr 68 commonly known as the law on “ecoreati” ( crimes against environment) to introduce stronger sanctions in case of crimes related to environment by 7 articles added to the Environment Code; trough this new sanctions, administrative and penal ones, the legislator has introduced a mechanism of extinction of environmental infringements that don’t determine  actual and concrete “damage “ or “danger” to environmental, urban planning and   landscaped resources protected by law.  The aforementioned concepts of damage and danger require some reflections on the regulatory framework, both for the modality and for the level of offence to the protected legal asset.

IL PERCORSO DELLA NORMA

Con la legge 22.5.2015, n.68 sui Delitti Ambientali viene inserito un sistema normativo finalizzato ad una risposta sanzionatoria a fenomeni criminali di massiccia aggressione all’ecosistema, sovente anche di grandi dimensioni e di assoluta gravità, tali da comportare conseguenze sulla stessa salute ed integrità fisica delle persone.

La legge 68 prende tra l’altro spunto, anche se non ne coglie in pieno le indicazioni, dalla bozza finale dei lavori della «Commissione Ronchi», istituita nel 1998, presieduta dal Ministro dell’Ambiente e composta da magistrati impegnati nella lotta ai crimini ambientali, professori universitari ed esperti di polizia giudiziaria e di diritto dell’ambiente.[1]

La Commissione nasceva dalla necessità di produrre uno studio per far introdurre nel sistema penale un gruppo omogeneo di norme finalizzate alla tutela dell’ambiente, superando la congerie di normative sparse in diversi testi di legge ed onde rendere la percezione e l’applicazione di esse meno difficoltose prevedendo una serie di nuove fattispecie nell’ambito del codice penale trovando una loro collocazione nel libro II del codice penale dopo il titolo VI.

La ragione di tale scelta era motivata dalla opportunità di seguire i criteri di alcune importanti codificazioni europee quale il codice penale tedesco ed il codice penale spagnolo, poiché tale impostazione avrebbe garantito una migliore funzione di “orientamento culturale” dei cittadini ed una maggiore sinergia tra le forze di polizia e le AA.GG dei Paesi membri, attesa anche la transnazionalità dei fenomeni criminali ambientali.

Tale orientamento veniva accolto dal legislatore nazionale che inseriva i “Delitti Ambientali” nel libro II del C.P., Titolo VI bis, modificando però la struttura normativa ed inserendo dodici articoli (dal 452 bis al 452 terdecies) successivamente diventati tredici (D.lgs.1/3/2018, n.21) per la trasposizione dell’art.260 del T.U.A. nell’art.452 quaterdecies c.p.(Attività organizzata per il traffico di rifiuti)

La legge 68 fa comunque soprattutto riferimento anche alla necessità di dare compiuta attuazione alla Direttiva dell’Unione europea n.2008/99/CE del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell’ambiente recepita dal nostro ordinamento con il Decreto legislativo 7 luglio 2011 n. 121, pur in termini limitati e non pienamente adeguati alle finalità dichiarate dalla Direttiva.

Con l’art 2 la norma modifica la disciplina sanzionatoria delle violazioni della legge 150/92 relativa alla Convenzione di Washington sul Commercio internazionale delle specie di fauna e di flora minacciata di estinzione (CITES) onde proteggere con maggior rigore il commercio internazionale di circa 35.000 specie protette inserite in 3 appendici secondo il grado di protezione necessario.

Nella stessa legge 68/2015, all’art.1, vengono inseriti sette articoli che introducono nel Codice dell’Ambiente una “parte sesta-bis”, che affronta l’aspetto sanzionatorio degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale prevedendo un particolare meccanismo di estinzione delle contravvenzioni ambientali che non cagionano danno o pericolo concreto ed attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette.

I menzionati concetti di danno e pericolo impongono alcune riflessioni sull’assetto normativo, sia per la modalità sia per il livello di offesa al bene giuridico protetto.

Fondamentale è una riflessione sulla scelta della Commissione “Ronchi” di costruire la norma perseguendo il passaggio della tutela penale dal reato di pericolo astratto a quello del pericolo concreto sino, infine, al danno, previsto per specifiche circostanze aggravanti, seguendo il paradigma del reato aggravato dall’evento.

L’opzione per la suddetta costruzione normativa era stata adottata anche al fine di porre in essere l’anticipazione della tutela del bene giuridico ambientale almeno come relazione di probabilità tra fatto ed evento.

Tale scelta però, non è stata interamente accolta dalla legge 68/2015 che ha privilegiato, nei delitti, l’opzione a favore del reato di evento e di danno (es. art.452 bis c.p. – Inquinamento Ambientale) ipotizzando le fattispecie di pericolo solo per particolari proiezioni offensive.

Emblematico è, a riguardo, il delitto di “Disastro Ambientale”, sempre costruito sul reato di danno connesso alla irreversibile o particolare alterazione dell’equilibrio di un ecosistema (art. 452 quater bis c.p. co.2 p.ti 1 e 2) che però, al p.to 3, ipotizza un duplice e concorrente  profilo dimensionale prevedendo che “effetti dannosi gravi, complessi ed estremi” per la pubblica incolumità, per la vita e l’integrità fisica di un numero di persone siano riconducibili alla nozione di “pericolo” senza che peraltro sia richiesta anche l’effettiva verifica della morte o delle lesioni di uno o più soggetti.[2]

Altro reato di pericolo è l’art. 452 sexies c.p. (Traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività).

Tale articolo punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 10.000 a 50.000 euro – salvo che il fatto costituisca più grave reato – chiunque abusivamente «cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona o si disfa illegittimamente di materiale ad alta radioattività», prevedendo ulteriori aggravanti in caso di compromissione o deterioramento delle acque, dell’aria o di porzioni estese e significative di suolo e sottosuolo, di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Un ulteriore aumento di pena è previsto se dal fatto deriva pericolo per la vita o l’incolumità delle persone.

Altro reato di pericolo è quello previsto dall’art. 452 quaterdecies (“Attività organizzata per il traffico di rifiuti” successivamente inserito dall'art. 3 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21) che, in pratica, ha trasposto l’art.260 del T.U.A.

Tale articolo prevede che “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni prevedendo un aumento della pena da tre ad otto anni se trattasi di rifiuti ad alta radioattività.

La norma in questione è posta a tutela sia dell'ambiente che dell'ordine pubblico ed è stata introdotta onde punire più severamente le condotte di gestione abusiva dei rifiuti, a prescindere che essa sia posta in essere in forma associativa o meno.

Coinvolge una serie di condotte di gestione illecita dei rifiuti, specificando, sia pur genericamente, la soglia dell'"ingente quantità".

La costruzione della norma quale reato di pericolo, non richiede la dimostrazione del danno ambientale anche se sicuramente la giurisprudenza avrà il compito di definire in maniera più dettagliata la valutazione oggettiva e la sussistenza concreta del presupposto.

La Suprema Corte si è pronunciata sulla configurabilità del reato, affermando che la soglia di rilevanza penale, e quindi il pericolo che il danno effettivo del bene protetto avvenga, possa essere integrata anche da una sola fase di gestione abusiva dei rifiuti, purché configurato in forma organizzata anche «se l’apparato di mezzi e attività risulta imprescindibile, lo stesso può presentarsi in forma rudimentale, così come apparato imprenditoriale vero e proprio, che persegua anche marginalmente fini illeciti accanto all’attività principale pienamente riconosciuta e legale».

Secondo i Giudici della Corte di Cassazione perché possa configurarsi il delitto è sufficiente che anche una sola delle fasi di gestione dei rifiuti avvenga in forma organizzata[3].

Come già esposto, trattasi di un reato di pericolo poiché la sola condotta umana lede o pone in pericolo il bene giuridico con nocumento potenziale del bene stesso; l’aggettivo “ingente” riferito alla quantità andrà di volta in volta interpretato nel contesto in cui il traffico si svolge.

Se la gestione abusiva si riferisce a materiale ad “alta radioattività” è prevista una circostanza aggravante specifica.

E’ comunque auspicabile che, nel caso di riforma, la pur importantissima legge n.68/2015 (anche alla luce di esperienze operative poste in essere in tema di violazioni ambientali), sia rimodulata sul paradigma del reato  di pericolo perché ciò semplificherebbe il lavoro investigativo e giudiziario tenendo peraltro in considerazione la circostanza che l’art. 59 c.p.p. impone l’imputazione delle aggravanti a titolo di dolo o quanto meno di colpa e che il progetto di Convenzione del Consiglio d’Europa prevede le fattispecie criminose ambientali orientate al pericolo concreto.

IL CONCETTO DI PERICOLO


Per i motivi suddetti nei reati ambientali è comunque fondamentale che gli organi accertatori abbiano una chiara visione del concetto di pericolo poiché la sua corretta interpretazione consente l’eliminazione di equivoci che si possono creare sia nel caso di aggressioni ambientali sotto forma di delitto, sia nel procedimento di estinzione delle contravvenzioni ambientali.

In linea di principio si possono distinguere due tipi di pericolo: ASTRATTO e CONCRETO.

Il legislatore ha costruito il concetto di pericolo astratto sulla forza espansiva del nocumento all’insegna dell’«Id quod plerumque accidit» (ciò che accade più spesso) ovvero sul concetto che basta porre in essere determinate azioni disvaloriali perché il pericolo si verifichi.

In tali casi il concetto è insito nel comportamento posto in essere in maniera tale da renderlo irreparabile (incendio, inondazione, naufragio, ecc.) e non è indispensabile che gli organi investigativi facciano altre indagini sulla obiettiva esistenza del fatto.

Diverso e spesso controverso è invece il concetto di pericolo concreto che, secondo dottrina, è rapportato sia alle sensazioni della vittima del reato (teoria subiettiva), sia alle risultanze obiettive dell’azione criminosa ovvero dalla concreta esistenza del pericolo (teoria obiettiva), sia dal concorso di entrambi (teoria mista). La maggioranza degli interpreti del diritto propendono per la teoria obiettiva.

La costruzione del reato ambientale sui concetti di pericolo concreto o di danno è quindi fondamentale per permettere una più incisiva azione di controllo e contenimento dei reati ambientali.

La stessa individuazione del danno reale o potenziale risulta non facile anche perché gli effetti delle azioni criminose ambientali possono emergere dopo tantissimi anni.

Anche per tal motivo, ad esempio,  la Commissione Ronchi aveva formulato la proposta sul reato di “Inquinamento Ambientale” ascrivendolo a «chiunque introduce illegittimamente nell’ambiente sostanze, energie, o radiazioni ionizzanti, in modo tale da determinare o contribuire a determinare il pericolo di un rilevante deterioramento dello stato dell’aria, dell’acqua o del suolo è punito con la reclusione” ipotizzando aumenti di pena “se il deterioramento si verifica” e vi è «danno all’ambiente … o pregiudizio alla sopravvivenza di animali o piante …».

L’impostazione era chiaramente ispirata alla rilevanza del reato connessa all’intrinseco pericolo concreto seguendo, in caso di danno, il paradigma del reato aggravato dall’evento.

La richiamata norma equivalente, approvata con l’art.452 bis della legge 68/2015, sancisce invece la punibilità per inquinamento ambientale di «chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili» ed è costruita sulla verifica dell’evento e del rapporto di causalità con l’azione.

E’ quindi evidente come in tal caso occorra, specie durante le indagini preliminari, accertare il danno, l’evento ed il nesso eziologico tra azione ed evento, non sempre facile dimostrare attese le varie azioni antropiche che possono causare il degrado ambientale. Alcune voci critiche hanno peraltro sollevato perplessità sulla sostituzione, in sede legislativa, dell’inciso «contribuisce a cagionare» con «cagiona».

Vero è che l’art. 41 cod. pen. consente una interpretazione tale da consentire l’inclusione della rilevanza delle concause (preesistenti, concomitanti o sopravvenute) ma è pur vero che la prova di un indiscusso rapporto eziologico andrebbe corroborata con «sentieri meno agevoli rispetto a quelli praticabili nel caso in cui il reato si perfeziona a seguito del mero superamento di valori soglia predeterminati che non necessitano dei faticosi accertamenti ricostruttivi sulla causa dell’inquinamento o del disastro allorquando detta causa…risulti essere invece una sommatoria di compo

[1] Presidente Ministro RONCHI;  componenti:  N. M. PACE, M. SANTOLOCI, G.AMENDOLA, E.FONTANA, G.GIOVE, L.TARDITI, A.MANNA, G.SPAGNOLO, M.R.BLAIOTTA, G.CASCINI, E.CILLO, L.CRISCUOLI.

[2] Corte di Cassazione – Ufficio del Massimario – Sezione penale. Novità legislative: Legge n.68/2015. Redattore P. Molino – v. direttore G. Fidelbo

[3]Cass. Pen. 43710/2019