• >
  • Media & Comunicazione
    >
  • Rassegna dell'Arma
    >
  • La Rassegna
    >
  • Anno 2004
    >
  • Supplemento al N.4
    >
  • IV Sessione
    >

Dott. Andrea Nativi

Se mi è consentito iniziare questa presentazione con una provocazione intellettuale... potrei sostenere che l’Italia potrebbe fare tranquillamente a meno di Forze armate con capacità di proiezione e potrebbe affidare il proprio contributo al mantenimento della sicurezza ed alla difesa degli interessi condivisi al di fuori dei propri confini alle sole MSU. Già, perché anche le Forze armate meglio equipaggiate ed addestrate servono a ben poco se non c'è la volontà politica di impiegarle davvero per svolgere i compiti primari a loro assegnati. Nel caso dell’Italia non mi sembra di scorgere tale volontà, al di là delle dichiarazioni di rito, né nelle attuali Forze di governo, né tantomeno in quelle di opposizione. Forse l’opinione pubblica sarebbe un po’ più interventista, ma il potente circolo mediatico è sicuramente schierato per una malintesa politica isolazionista, tanto autolesionista quanto miope.

Le MSU quindi si adatterebbero alla perfezione all’esigenza di assumere comunque un ruolo militare internazionale a fianco degli alleati, ma badando bene di entrare in campo solo quando le operazioni belliche sono definitivamente concluse. E visto che pochi fra gli alleati hanno una Forza di polizia ad ordinamento militare con la consistenza dell’Arma dei carabinieri, il nostro contributo potrebbe essere davvero apprezzato. Ecco, questa boutade ci permette di entrare nel vivo dell’argomento. Le MSU a mio avviso sono una “novità” che permette di rispondere in modo originale ad una esigenza che però è vecchia come la guerra: quella di mantenere, nei teatri d’operazioni dove hanno luogo quelle che oggi si chiamano missioni di CRO/PSO, ordine pubblico, sicurezza pubblica, consentendo l’applicazione della (meglio, di una) legge. Un tempo questi compiti erano affidati in una prima fase direttamente agli eserciti regolari di occupazione, successivamente si cercava di far ricorso a forze di polizia o formazioni di collaborazionisti locali.

Ed evidentemente, volendo riservare alle Forze combattenti vere e proprie compiti più “combat”, come la lotta antiguerriglia, i ruoli di polizia erano delegati non appena possibile alla polizia militare, che comunque poteva contare su rinforzi forniti dalle unità di guarnigione in caso di guai. Il trasferimento di poteri e funzioni alle nuove autorità civili era naturalmente graduale e la fase di occupazione militare ed imposizione della legge marziale poteva protrarsi anche a lungo: basta pensare a quanto è avvenuto in Germania ed in Giappone ed in qualche misura anche in Italia, nonché in molti altri paesi “liberati” alla fine della Seconda guerra mondiale. Probabilmente oggi c’è un po’ troppa fretta nel voler assegnare alle autorità civili locali o a quelle civili internazionali poteri e competenze che non sono in grado di esercitare. A mio avviso si eviterebbero molti problemi se questi sviluppi fossero graduali, ed il passaggio di consegne avesse luogo solo quando le nuove autorità fossero davvero pronte a svolgere i compiti attribuiti, sia pure con il sostegno esterno del caso.

Alle autorità militari dovrebbero pertanto restare i normali poteri attribuiti ad un esercito occupante fino al momento in cui i buoni propositi si accompagnano ad effettive capacità. Molti guai, nei Balcani e non solo, avrebbero potuto essere evitati procedendo secondo la “vecchia” concezione. Ma torniamo al tema di questo intervento. 194 Le MSU sono indubbiamente Forze specializzate di supporto che consentono innanzitutto al comandante della missione di utilizzare le Forze “combat” per garantire la cornice complessiva di sicurezza indispensabile per consentire il ritorno alla normalità, delegando ad altre formazioni la responsabilità di gestire l’ordine pubblico e la ordinaria pubblica sicurezza. Le MSU non svolgono quindi funzioni “combat”, né devono avere la pretesa di fronteggiare la guerriglia organizzata, quanto piuttosto la criminalità, gli sbandati, che possono rivelarsi pericolosissimi quando si verifica un vuoto di potere o la transizione dal vecchio al nuovo sistema. I “normali” compiti di polizia insomma. In tema di lotta al terrorismo, si dovrebbe invece parlare di cooperazione tra Forze combat e Forze specializzate di polizia.

Che l’ordinamento militare sia ottimale per le MSU non sembra essere oggetto di discussione: le Forze civili di polizia non sono idonee per svolgere questi ruoli, soprattutto non possono essere inserite nel contesto di una struttura di comando militare, avendo organizzazione, mentalità, procedure, formazione, catena di comando del tutto diverse. Si può discutere invece se le MSU debbano essere qualcosa di separato e di diverso rispetto alle formazioni di Polizia Militare. In Italia esiste l’Arma dei carabinieri, ma si tratta di una organizzazione che ha pochi paragoni internazionali, per ruolo, organizzazione, poteri e consistenza organica (per non parlare del rango di Forza armata), che svolge anche i compiti classici di MP. I Paesi che non concepiscono l’esistenza di forze di polizia ad ordinamento militare continueranno ad affidare i ruoli PM e MSU a formazioni di polizia militare create essenzialmente all’interno dei rispettivi Eserciti, anche se ogni Forza armata possiede in genere una propria componente MP, oppure attribuiranno il ruolo specifico di MSU a truppe dell’Esercito. Si può discutere poi se queste ultime debbano essere fornite dalla componente in servizio attivo o da quella riservista/guardia nazionale e se sia o meno necessario prevedere una formazione, addestramento, equipaggiamento e dottrina specifica. Gli ultimi eventi occorsi in Afghanistan e soprattutto in Iraq hanno infatti portato molti Paesi a dibattere l’opportunità di potenziare i reparti di MP o addirittura di creare formazioni militari specializzate da “dopo guerra”.

In effetti chi non ha niente di equivalente ai Carabinieri sarà costretto ad attribuire le funzioni di controllo dell’ordine pubblico e sicurezza “interna” a reparti di MP tradizionali, espandendone competenze ed organici o ai soldati “standard”. Perché la mancanza di una Forza di polizia ad ordinamento militare non pregiudica certo l’effettuazione di compiti che rientrano tradizionalmente nei ruoli classici di un esercito di occupazione. L’Italia in questo settore ha però il vantaggio di poter contare sui Carabinieri, la cui consistenza, oltre 112.000 uomini e donne, supererà addirittura gli organici previsti per il futuro Esercito professionale. La legge che ha riordino compiti e struttura dell’Arma, attribuisce, sia pure in via non esclusiva, all’Arma compiti di sicurezza “interna” nel quadro di operazioni di PSO/CRO ed una scuola di pensiero tende ad accreditare l’ipotesi che le Forze MSU debbano essere qualcosa di diverso e separato rispetto a quelle di PM “classiche”. Diciamo che sarebbe bello possedere uno strumento “dedicato”, ma questo non è indispensabile ed è comunque possibile solo quando la consistenza organica delle Forze di polizia ad ordinamento militare è davvero elevata. Personalmente vedo sempre con piacere la specializzazione, ma solo se questa non diventa un ostacolo allo svolgimento dei compiti e delle funzioni previsti.

In particolare anche la distinzione tra Forze di PM che supportano direttamente il combattente (combat support) e MSU che svolgono una funzione separata di “polizia ordinaria” è un lusso per pochi. Posto che comunque anche le MSU forniscono un supporto alle forze combattenti, garantendo la sicurezza interna nel teatro di operazioni. Evidentemente le MSU supporteranno ed opereranno sotto il comando del comandante operativo di teatro, il quale, nel “dopoguerra” almeno, tende a coincidere con il Land Component commander. Il comandante di teatro, generalmente, ma non necessariamente, potrà anche contare su una aliquota di Forze Speciali joint/combined. Ma se mancano MSU o SF le operazioni si fanno ugualmente. E sarà alla PM, se numericamente sufficiente, o ai soldati ordinari che in tali casi il comandante affiderà i compiti di polizia. Nella dottrina americana ultimamente si è affermata la possibilità che il Comando Forze Speciali possa assumere il ruolo di Lead Service supportato, in determinate circostanze. Ma si tratta di situazioni eccezionali.

Ed in Europa niente del genere è previsto: le SF sono un asset strategico a disposizione del comandante. Alle MSU naturalmente nessuno pensa di assegnare la dignità di “service”. Le MSU/PM avranno comunque una consistenza limitata, nell’ambito del complesso di forze schierate in teatro. Parliamo comunque di numeri significativi, considerando che il rapporto può arrivare a 1:10 rispetto al totale delle forze, a seconda delle condizioni sul terreno. Dato che sono molto attento agli aspetti pratici e concreti, vorrei fosse ben chiaro cosa vuol dire affidare a MSU compiti rilevanti di sicurezza interna nel corso di operazioni PSO/CRO. Vuol dire disporre di migliaia di militari addestrati per operare all’estero in condizioni ambientali, logistiche e di sicurezza difficili, con una buona conoscenza delle lingue straniere, la capacità di osservare una stretta neutralità, la consapevolezza che un errore può avere conseguenze politiche-strategiche devastanti. Il compito più delicato non è tanto il contrasto alla criminalità ordinaria, quanto il mantenimento dell’ordine pubblico, con la consapevolezza che una situazione apparentemente “semplice”, una banale manifestazione autorizzata, può rapidamente degenerare in scontro aperto, atto di guerriglia, battaglia.

Lo vediamo quotidianamente in Iraq. Se si pensa che le MSU finiscano per agire ed operare come “il 9 settembre di Nassiriyah” si va incontro a grossi guai. Le procedure, gli equipaggiamenti, la forma mentis devono essere diversi, nella consapevolezza che le MSU possono trovarsi improvvisamente oggetto di attacchi militari convenzionali, di guerriglia o terroristici. Non si tratta di svolgere il lavoro di polizia ordinaria di cui ci si occupa in Patria in un diverso Paese. Occorre quindi personale ben preparato, che unisca una solida preparazione militare al bagaglio di conoscenze tipico del tutore dell’ordine e che sia adeguatamente armato e dotato di mezzi e risorse all’altezza della situazione e della minaccia. A mio avviso il modello di riferimento in questo senso è costituito dalla Gendarmeria francese, che ha già specializzato i suoi organici in due componenti: una tradizionale, territoriale, ed una particolarmente idonea a condurre operazioni più pericolose o in contesti a rischio ed a svolgere il controllo dell’ordine pubblico.

Ovviamente all’estero vanno essenzialmente gli appartenenti a questa seconda componente, i quali però sono penalizzati sotto il profilo logistico e finisco per appoggiarsi all’Esercito. A mio avviso anche l’Arma dovrebbe compiere una scelta di questo tipo. Fino a tempi recentissimi i Carabinieri hanno un po’ trascurato l’attività di controllo dell’ordine pubblico. Un tempo, giova ricordarlo, i battaglioni mobili avevano una forte connotazione combat (addirittura disponevano di carri armati, mezzi corazzati per trasporto truppe, autoblindo pesanti), con chiare funzioni sussidiarie/integrative dei reparti dell’Esercito, anche nella consapevolezza che in caso di crisi/invasione le operazioni antiguerriglia/imposizione ordine avrebbero potuto richiedere forze con elevate capacità di combattimento. Nel tempo questo carattere è svanito e siamo arrivati al punto che i reparti da ordine pubblico erano basati su personale di leva, magari volenteroso e nel pieno fulgore fisico ed ormonale, ma certo non dotato di particolare capacità, addestramento, esperienza o sensibilità giuridica. Nel contempo anche le dotazioni e gli equipaggiamenti… non sono stati adeguati se non in tempi recentissimi. Oggi, dopo il G8 di Genova e l’11 settembre, con la sospensione del servizio di leva e la professionalizzazione forzata, c’è l’opportunità di cambiare radicalmente.

A mio avviso i reparti per ordine pubblico vanno preparati per operare “fuori area”, devono ricevere un addestramento militare avanzato ed uno specialistico, disporre di una gamma di armamento ed equipaggiamenti completa, che inizia con gli strumenti più moderni per la tutela ordine pubblico e riot control, alle protezioni passive, alle armi non letali, per arrivare alle armi da fuoco che dovranno arrivare almeno agli standard previsti per la fanteria leggera, se non si vuole correre il rischio di trovarsi “outgunned”. Il concetto della doppia/tripla dotazione pare costituire una risposta. Stesso discorso vale per mezzi e veicoli. Se le MSU svolgono compiti di polizia, oltre alla unità da ordine pubblico sono necessarie pedine ad altissima specializzazione e ridotta consistenza numerica. Tuttavia sono convinto che anche questo personale possa essere semplicemente tratto dai reparti nazionali territoriali, sottoposto ad un periodo di preparazione intensiva dedicata e poi spedito in teatro.

Il condizionamento pre-impiego si dovrebbe misurare in mesi, non in settimane. La mafia, la camorra, le BR sono pericolose, ma quello che si affronta in missioni fuori area di PSO/CRO è diverso. L’eccezione è rappresentata da GIS e Tuscania. Inoltre se davvero l’Italia e l’Arma vogliono un ruolo guida in ambito NATO devono essere pronte all’impiego Forze sufficienti per giustificare tale ambizione: la filosofia è importante, ma conta sola se è supportata dai numeri. Per far sul serio servono reparti di consistenza adeguata per proiettare in missioni fuori area un minimo di tremila uomini, con la capacità di sostenere nel tempo tale sforzo. Questo vuol dire disporre di 10-12.000 militari specializzati ed addestrati che oggi semplicemente non sono disponibili. Così come non c’è un vero centro di addestramento dove ci si può preparare in condizioni realistiche con formazioni consistenti. Al momento i reparti sotto organico delle Forze “di proiezione” sono rimpolpati ad occasionem pescando tra i volontari della territoriale che arrivano un po’ dappertutto, svolgono un minimo corso di preparazione e poi sono spediti in Teatro. Questo vale sia per le componenti specialistiche sia per le unità di ordine pubblico.

Una scelta pericolosa, dettata dall’emergenza, sia per chi partecipa a queste operazioni senza essere preparato, sia per i reparti e le organizzazioni che si affidano a questi uomini, al di là della buona volontà. Se ciascun reggimento MSU sostiene una missione ruotando le proprie pedine organiche di base, plotoni e compagnie, per mesi e mesi, l’output complessivo non può che essere limitato ed il reparto non ha tempo per condurre attività addestrative complesse. Ed infatti ad oggi l’Arma non può andare al di là della soglia dei 1.500 uomini in missione, considerando sia la componente ordine pubblico sia quella specialistica. Per ruotare interi reggimenti occorre che il pool di personale assegnato sia più vasto. Nessuna novità peraltro: anche l’Esercito, quando aveva un numero ridotto di volontari e troppe missioni, era costretto a formare reparti “compositi” ed a ruotare i Reggimenti, ma non i comandi di Brigata. Oltre alle Forze “operative” occorre una organizzazione logistica dedicata per consentire il funzionamento di forze consistenti per periodi prolungati a migliaia di chilometri dalle basi stanziali.

È vero che le MSU non hanno i consumi e le esigenze logistiche di un reparto da combattimento in azione di guerra; è vero che mantenere un reparto in azione di ordine pubblico per più di 36 ore di fila senza cambio non rientra nella prassi, ma posto che anche questo può essere necessario, la semplice attività di sostentamento non combat, il supporto ai mezzi, i materiali di consumo diventano impegnativi se sul terreno si schierano 500 o 1.000 uomini e ci si trova a 3-4.000 km da casa. Inutile dire che tutto questo costa, costa moltissimo e il bilancio dell’Arma non è particolarmente ricco, specie sul versante degli investimenti in mezzi e materiali. In conclusione, il concetto delle MSU, ora che si è rinunciato a tentare di farne un duplicato dell’Esercito, è interessante, ma se si vuole far sul serio l’Arma dovrebbe intraprendere una revisione organizzativa e filosofica. E visto che tutto non si può fare, questo comporta rinunciare a competere, pardon, collaborare su un piede di parità con la P .S. nel teatro domestico. Se invece non è questa l’intenzione, meglio ridimensionare le ambizioni in ambito NATO e internazionali, nei quali mai come di questi tempi contano le capacità effettive, al di là della validità delle idee e dei propositi, perché si rischia qualcosa di peggio di una brutta figura.


(*) - Responsabile della Rivista Italiana Difesa.