Ipotesi di lavoro in tema di deflazione penale

Eduardo Boursier Niutta (*)


1. Premessa

Con l’espressione deflazione penale si intende fare riferimento al processo di rivalutazione di alcune condotte, tipicamente previste quali illeciti penali, onde verificare se nella coscienza sociale esse siano ancora percepite meritevoli di sanzione penale o se, invece, possano essere adeguatamente sanzionate in via amministrativa o essere addirittura ritenute legittime. Sotteso all’esigenza di depenalizzazione vi è sempre un mutamento della coscienza sociale che non ravvisa più, nei comportamenti precedentemente sanzionati come reato, un disvalore di tale intensità da giustificare l’inflizione di una pena o, anche, da giustificare una qualsiasi sanzione. Concorre alla spinta deflazionistica sia l’evoluzione della coscienza sociale intesa quale evoluzione delle coscienze dei più, sia l’evoluzione del rapporto tra lo Stato ed il cittadino. È pacifico che ciascuno Stato adegua il proprio ordinamento giuridico alle proprie esigenze, sicché uno Stato autoritario, nel quale il cittadino assuma posizione subordinata, genererà un sistema di regole giuridiche condizionato da tale forma.

L’eventuale mutamento verso una forma più democratica comporta quale naturale corollario una spinta verso il mutamento delle regole giuridiche, con espunzione dai comportamenti penalmente sanzionati di tutto ciò che non è più coerente con il sistema. In tale ottica desta meraviglia l’assenza di leggi di depenalizzazione(1) nel campo penale militare, tenuto conto dell’epoca di emanazione del codice penale militare di pace e di guerra(2). L’attuale impianto ha mantenuto la sua efficacia grazie alla indiscutibile “modernità” dello stesso(3), non disgiunta da una valida struttura tecnica e dalla sostanziale disattenzione della società alle problematiche militari in genere. In realtà, pur astrattamente sotto gli occhi di tutti, le problematiche relative al settore penale militare non possono definirsi né “evidenti”, né “note”. Difettano di evidenza perché di esse non si ha coscienza, né si parla, se non tra pochi addetti, interessati specificamente alla materia in gran parte per mero dovere di ufficio.

Parliamo dei pochi magistrati militari e dei pochissimi professori universitari della speciale branca del diritto penale militare. Neanche all’interno del mondo militare emergono con “evidenza” e chiarezza la moltitudine di paradossi ed incongruenze del settore, posto che la conoscenza e lo studio del diritto penale militare all’interno delle stesse Forze armate è spesso approssimativo(4). Né in ciò si legga un giudizio di valore nei confronti degli operatori (Ufficiali e Sottufficiali) delle Forze Armate, ai quali non si può certo imputare la disattenzione(5) per un settore letteralmente dimenticato dallo stesso legislatore per numerosi anni(6). Peraltro costituisce esperienza comune l’aver provato stupore ed incredulità quando, indotti al contatto con le questioni penali militari da vicende che hanno scosso l’opinione pubblica(7), si è avuta notizia delle regole affatto incongruenti( 8) che tradiscono la lacerante frantumazione di un sistema che, soggetto a interventi per lo più dettati da situazioni di emergenza, ha perduto la sua unitarietà e compattezza finendo per lasciar sopravvivere uno strumento del tutto inadeguato.

Paradossalmente la stessa volontà politica di porre (finalmente) mano in modo organico e concreto al settore(9), è frutto di una ulteriore emergenza, derivata dalla percezione violenta ed improvvisa circa l’insicurezza e l’instabilità della “pace”, dopo i tragici fatti dell’11 settembre 2001 e dalle conseguenti specifiche attività fuori area delle Forze Armate italiane. Nell’ambito della rivisitazione dei codici penali militari (di pace e di guerra)( 10) si auspica che il legislatore delegato voglia prendere atto della profonda mutazione delle Forze Armate non solo nella sua componente operativa e funzionale, ma anche nella sua componente umana e culturale. È indubitabile, infatti, che l’attuale composizione professionistica delle Forze armate può vantare una componente umana di ben diversa preparazione culturale e di sicura coscienza democratica. È ben evidente che, se la realtà che aveva di fronte il legislatore del 1941 poteva giustificare la scelta di penalizzare determinati comportamenti, l’attuale realtà non lo giustifica affatto, rendendo necessaria una sostanziale e decisa depenalizzazione.

Ciò, in particolare, considerando che un adeguato sistema disciplinare è sicuramente in grado di ottenere, con maggior efficacia e prontezza, l’effettiva protezione di taluni interessi oggi affidati alla tutela penale.


2. Logica deflattiva

La depenalizzazione costituisce, come detto, lo strumento attraverso il quale vengono espunti dal sistema penale condotte che non sono più recepite dalla coscienza sociale come meritevoli di pena criminale. Le varie depenalizzazioni avutesi negli ultimi 30 anni non hanno mai interessato il codice penale militare che, invece, è rimasto pressoché(11) intatto nella sua parte speciale(12), fino al 2002, quando, con la legge 31 gennaio 2002, n. 6, sono stati abrogati alcuni reati previsti dal codice penale militare di guerra in previsione della sua applicazione nelle operazioni militari all’estero. Ma anche tale carenza deve ritenersi dovuta più al disinteresse in cui è stato relegato il mondo militare dal dopoguerra in poi, che non ad una precisa scelta di politica criminale militare. Accingendosi a meditare sulla attuale efficacia del sistema penale militare, non si può non rilevare che alcune condotte attualmente sanzionate penalmente, possono trovare ben più concreta ed efficace sanzione nell’ambito amministrativo disciplinare, così come altre non sembrano meritare affatto la sanzione penale o per coerenza con il sistema penale ordinario, o per l’assenza di qualsiasi concreto pericolo o danno derivante dalle condotte stesse.

In definitiva occorre prendere atto che taluni comportamenti, attualmente sanzionati penalmente, appaiono concretamente e fattivamente tutelabili in via amministrativa, previa una riorganizzazione del sistema sanzionatorio disciplinare che preveda nuove e più concrete sanzioni adeguate alla componente esclusivamente (o anche solo prevalentemente) professionale delle Forze Armate. La contiguità nel settore militare del sistema penale con quello disciplinare(13) consente di ritenere possibile sostituire, in molti casi, le sanzioni disciplinari alle sanzioni penali militari, senza menomare la sicurezza e l’efficienza del sistema. In realtà, ad esempio, in tutti i casi in cui è attualmente sanzionato un mero pericolo presunto, sembra possa essere sostituita con estrema facilità la sanzione disciplinare a quella penale, riservando la tutela penale solo ai casi di concreto pericolo o danno. Peraltro una tale operazione deflattiva eviterebbe che permangano nel sistema penale militare ipotesi di reato non pienamente rispondenti ai principi di offensività e di sufficiente determinatezza.

In tale ottica vanno ripensati anche quei comportamenti che, attualmente previsti come reato militare, presentano in realtà uno spettro di illiceità del tutto sproporzionato a causa della indeterminatezza dei comportamenti costituenti la fattispecie, nonché quelli che, già depenalizzati nell’ambito dell’ordinamento giudiziario ordinario, sono ancora previsti come reati nell’ambito penale militare. In definitiva si possono immaginare tre grosse linee di deflazione penale, rispondenti a logiche diverse: una prima linea comprendente una serie di fatti, attualmente sanzionati penalmente, che potrebbero trovare adeguata e più immediata tutela attraverso sanzioni amministrativo disciplinari; una seconda comprendente fatti da espungere dal sistema penale militare per coerenza con il sistema penale ordinario che non li contempla più come reati; una terza linea comprendente fatti che, attualmente previsti come reato militare, possono trovare una riformulazione più appropriata che distingua a seconda che dalla condotta si verifichi un effettivo danno o un concreto pericolo, graduando le corrispondenti sanzioni tra la sfera amministrativa disciplinare e quella penale.


3. La deflazione penale nel progetto di delega per la riforma dei codici penali militari di pace e di guerra

Il disegno di legge delega attualmente all’esame del Senato per la riforma dei codici penali militari, detta principi e linee guida che contemplano una esplicita abrogazione di taluni reati singolarmente individuati(14), nonché la rivisitazione di talune ipotesi di reato secondo i principi di personalità, offensività, sufficiente determinatezza e colpevolezza, nonché secondo principi di proporzione e sussidiarietà, principi derivanti dal dettato costituzionale ed espressamente enunciati dalla legge delega. In tale ottica sembra potersi ritenere l’intento del legislatore delegante di ripensare talune fattispecie di reato militare, attualmente non perfettamente rispondenti ai suddetti principi, anche in termini di depenalizzazione. Si pensi ai reati di pericolo presunto, come tali estranei al principio di offensività voluto dal delegante.

Il rispetto dei principi fissati dal progetto di delega sembra comportare, allora, la necessità di riformulare le fattispecie di tal genere al fine di renderle aderenti ai fissati principi, lasciando eventualmente le ipotesi di mero pericolo presunto alla tutela disciplinare. Ciò postula una concreta rielaborazione del sistema disciplinare, che contempli nuove e più certe sanzioni, in cui il pati non resti esclusivamente sul mero piano etico, al fine di consentire di disporre di un adeguato strumento di tutela per tutti i casi in cui la trasgressione non abbia comportato alcun danno o concreto pericolo grave. Peraltro la possibilità di graduazione delle sanzioni disciplinari secondo un sistema unico ove confluiscano le attuali sanzioni di corpo e di stato, consentirebbe di sottoporre alla tutela disciplinare anche ipotesi di una certa gravità, lasciando alla tutela penale la caratteristica che gli è propria di extrema ratio(15).

Esistono peraltro numerosi reati militari per i quali è auspicabile una attenta riflessione finalizzata ad una depenalizzazione, sia pure parziale, di molte ipotesi. In altre parole alcuni comportamenti oggi genericamente rientranti in determinate fattispecie di reato, ancorché privi di concreto danno o pericolo, potrebbero essere sottratti alla sanzione penale, ed essere sanzionati in via disciplinare. Il legislatore delegato potrebbe quindi procedere ad una ampia rivisitazione delle singole ipotesi delittuose oggi previste. Può apparire folle, per il personale militare non cultore del diritto, il suggerimento di chi, in un ambiente fortemente gerarchizzato e disciplinarmente rigido, propone l’abolizione di ipotesi di reato il cui contenuto offensivo si identifica con la mera disobbedienza al precetto. Tuttavia non va dimenticato che la proposta non è quella di legalizzare dette condotte, ma di sanzionarle sul diverso piano disciplinare. In fondo la punizione di un comportamento che non abbia creato alcun concreto danno o pericolo, ha senso solo considerando che quel comportamento ha comunque leso la disciplina, intesa in senso astratto quale necessità di rispetto delle regole.

In tale ottica appare quanto mai logico ritenere detti comportamenti sanzionabili solo in via disciplinare(16), finché oltre alla disciplina in senso astratto e generale, non si ledano anche interessi concreti meritevoli di tutela penale. Non bisogna dimenticare, peraltro, da un lato che la sanzione penale costituisce l’extrema ratio, dall’altro che ai fini disciplinari è fondamentale l’immediatezza e la esecutività della sanzione, che mal si conciliano con le procedure necessarie all’accertamento e punizione dei fatti reato. Se poi si aggiunge che la condanna penale non comporta affatto la certezza della esecuzione della sanzione, dati i molteplici istituti di sospensione, modifica, sostituzione ecc., si ha chiara la percezione della maggiore possibilità di tutela del bene astratto della disciplina attraverso il sistema suo proprio che non attraverso quello penale.


4. Disamina di alcune delle singole fattispecie di reato per le quali ipotizzare una depenalizzazione

È sempre difficile proporre concrete ipotesi di depenalizzazione senza lasciarsi trasportare dalla propria filosofia di vita, tenendo cioè presente non tanto il proprio modo di vedere le cose, quanto piuttosto il sentire sociale, cioè quello riferibile alla moltitudine dei cittadini.

Ciò diventa ancora più arduo quando la materia è fortemente settoriale ed interessa una stretta categoria di persone, non avvezze peraltro a confrontarsi sul tema. In realtà, attualmente, la percezione più concreta e precisa delle norme penali militari meritevoli di depenalizzazione è forse proprio dei pochi magistrati militari e pochissimi professori universitari della specifica materia. Il personale militare, nel suo complesso, può infatti trovare difficoltà nel percepire dette necessità, a causa della sostanziale carenza di dialettica intorno alla materia del diritto e, in specie, del diritto penale militare, non disgiunto dal timore di incrinare l’efficacia e la tenuta della struttura con aperture che, nell’ottica militare, possono essere ritenute pericolosi azzardi. Prendendo dunque spunto dalle problematiche affrontate ed evidenziate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, possiamo avventurarci ad esaminare talune fattispecie che possono essere riviste sotto il profilo deflazionistico. Sotto il profilo della indeterminatezza della fattispecie è stata criticata dalla giurisprudenza la previsione di cui all’art. 120 c.p.m.p. che prevede il reato di violata consegna da parte di militare in servizio determinato (diverso dalla sentinella vedetta o scolta, il cui abbandono di posto o la violata consegna è punito dall’art. 118 c.p.m.p.).

Si è posto in risalto(17) come la formulazione della norma non dia modo di conoscere tipologia e fonte del precetto extrapenale su cui si fonda il reato, in sostanziale violazione del principio di determinatezza. In definitiva il concetto di consegna - recuperabile dall’art. 26 RDM quale insieme delle prescrizioni generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per l’adempimento di un particolare servizio - non consente una esatta individuazione né di quale sia (o debba essere) la fonte della prescrizione, né di quale sia il contenuto la cui violazione è rilevante ai fini penalistici(18). Appare allora quanto mai opportuna e necessaria una riformulazione della fattispecie, che da una parte individui con certezza, in maniera oggettiva, quali prescrizioni costituiscano oggetto di consegna e dall’altra chiarisca in quali limiti la loro inosservanza costituisca reato(19). In tale ottica, le violazioni delle prescrizioni collaterali e non direttamente funzionali al conseguimento del fine proprio del servizio, ben possono trovare protezione nell’ambito disciplinare.

Alla stessa stregua appare poco determinata e fortemente dilatabile la fattispecie prevista dall’art. 140 c.p.m.p. (forzata consegna), ove si consideri che detto reato trova oggi concretizzazione in ogni comportamento comunque posto in essere in contrasto o elusione con una prescrizione data dal militare preposto, direttamente riconducibile alla consegna. L’ampio spettro di operatività della formulazione consente di individuare dei comportamenti che, seppure in contrasto con la consegna, non determinano alcun concreto pericolo o danno, manifestandosi come mera eventuale disobbedienza alla volontà dell’Autorità militare autrice della consegna. Si pensi ad esempio ad una consegna che preveda il previo controllo, in uscita da un ambiente militare, dei permessi di accesso sia delle persone che dei mezzi.

È indubitabile che, una volta effettuato il controllo del mezzo e del militare dell’infrastruttura alla condotta dello stesso, se si determinasse un allontanamento di costui senza che sia stato possibile controllare il permesso di accesso, non si avrebbe alcun concreto pericolo o danno. Resterebbe infatti possibile chiarire l’anomalia formale della situazione (uscita di un mezzo individuato in modo preciso che non avrebbe dovuto essere all’interno senza autorizzazione) anche in un secondo momento. Ma l’attuale estensione della fattispecie, ricomprendendovi qualunque modalità di elusione della disposizione impartita dal militare di vigilanza, rende punibile anche chi, fornite generalità e documenti del mezzo, si allontanasse senza espressa autorizzazione del militare addetto alla sorveglianza che gli abbia impedito l’uscita perché privo dell’autorizzazione all’accesso. In tal caso la sanzione penale appare affatto sproporzionata ed illogica ove si consideri l’assoluta carenza di qualsiasi pericolo o danno in un comportamento di tal genere. La logica sottesa alla rigidità di talune fattispecie di reato militare sembra conciliabile con una realtà che voglia dai militari la pedissequa esecuzione di quanto disposto. Volontà che, se si concilia con la realtà del 194 1, che vedeva militari di leva di modesto livello culturale (e quindi di scarsa capacità critica) e di incerta fede democratica, difficilmente è conciliabile con la cultura odierna che vede militari professionisti di sicura fede democratica.

In definitiva attraverso la punizione penale di comportamenti sostanzialmente amorfi rispetto agli scopi del servizio, ma disobbedienti ai dictata dei superiori, si consegue l’effetto di garantire non solo la sicurezza cui è finalizzato il servizio, ma la pedissequa(20) ottemperanza, da parte dei preposti, delle modalità operative immaginate dal superiore, prescindendo dalla loro effettiva necessità o rispondenza alla concreta situazione fattuale. Nella scia della rivisitazione di alcune fattispecie di reato militare dalle quali è possibile estrapolare condotte da sottoporre ad una tutela disciplinare anziché penale, deve porsi attenzione anche alla disposizione di cui all’art. 123 c.p.m.p. (omessa presentazione in servizio). L’attuale formulazione, non ponendo alcun margine temporale entro la quale deve essere intrapreso il servizio e non distinguendo tra servizi di sicurezza, servizi regolati in turni e servizi diversi, punisce indiscriminatamente anche il mero ritardo, qualunque sia il servizio e la conseguenza o il pericolo che derivi dal ritardo. Peraltro la sua punibilità penale condizionata alla richiesta, fa sì che la intrinseca maggiore o minore pericolosità del fatto sia sostanzialmente del tutto amorfa. In altre parole ben può accadere che la richiesta non sia avanzata nonostante l’omissione totale del servizio e l’avvenuto concretizzarsi di un danno per l’omissione, così come può accadere che la richiesta sia avanzata anche per un mero ritardo sostanzialmente incapace di produrre alcun pericolo o danno al corretto ed efficace svolgimento del servizio.

Anche in tal caso allora, appare opportuno un intervento di modifica della fattispecie che distingua le varie possibili ipotesi affidando alla tutela penale solo quelle in cui si abbia un concreto e grave pericolo, lasciando al campo disciplinare tutte le altre ipotesi. Una coraggiosa opera di totale depenalizzazione sembra necessitata con riferimento all’ipotesi di danneggiamento colposo di edifici militari (artt. 168 e 170 c.p.m.p.) e quello di danneggiamento colposo di cose mobili militari (artt. 169 e 170 c.p.m.p.), lasciando alla repressione disciplinare il danneggiamento doloso di cui agli artt. 168 e 169 c.p.m.p.(21).


5. Conclusioni

Il tema del convegno, focalizzato sulla regolamentazione disciplinare nella prospettiva del modello professionale delle Forze Armate, impone che dalle brevi osservazioni avanzate si traggano conclusioni ad esso teleologicamente coerenti. In tale ottica l’occasione è propizia per sollecitare una risistemazione complessiva e generale dell’intero sistema di tutela della disciplina militare, attualmente affidato in modo promiscuo sia al diritto penale militare che al diritto amministrativo-disciplinare. Ciò, da una parte, eviterà il perpetuarsi di ipotesi comportamentali previste contemporaneamente sia da norme regolamentari quali illeciti disciplinari, sia da norme penali quali reati militari, dall’altra la possibilità di ottenere una tutela non solo nominale ed apparente ma effettiva e concreta del bene disciplina.

La funzionalità e l’efficacia del sistema passa, però, attraverso una necessaria riforma che lo renda adeguato al perseguimento dello scopo, anche con la previsione di sanzioni particolari e anche severe(22), ma assicurando, al contempo, una procedura moderna ed efficace che tuteli i soggetti interessati al procedimento in modo concreto, anche attraverso la difesa di un avvocato iscritto al foro, e che affidi ad un organo terzo, a composizione mista, la decisione(23). Non sembrano invece condivisibili posizioni che mirino a semplici aggiustamenti e correttivi del sistema disciplinare esistente, pensato, a suo tempo, in parte in ottica assolutistica(24), in parte in ottica meramente funzionale(25), salvo voler lasciare senza alcuna reale ed efficace protezione comportamenti che certamente sono lesivi del bene giuridico afferente alla disciplina militare, ma che non assurgono a concreta lesione di beni penalmente tutelabili(26). I tempi sono maturi per la creazione di un valido sistema disciplinare che, pur garantendo al massimo il militare, sia effettivamente ed efficacemente proteso alla protezione del sistema(27) da comportamenti (finora sanzionati penalmente o privi di adeguata sanzione disciplinare), che possano potenzialmente compromettere l’efficienza e la coesione delle Forze armate, ma non meritano tutela penale.

A fronte di ciò necessita ovviamente prevedere un sistema in cui la tutela del militare, almeno per le sanzioni più gravi, non sia rimessa sostanzialmente alla buona volontà della struttura, ma che sia garantita dalla terzietà del giudicante e dalla parità di posizione tra militare sottoposto alla procedura disciplinare e suo accusatore.


(*) - Avvocato.
(1) - Il sistema penale militare è stato interessato da numerose decisioni che, nel corso degli anni, ne hanno eroso drasticamente la giurisdizione, senza però che si sia avuto alcun intervento legislativo di depenalizzazione nello specifico settore, fatta salva la legge 23 marzo 1956, n. 167 con la quale furono aboliti i c.d. reati militarizzati.
(2) - Si consideri che il codice penale militare ha visto la luce nel 1941, in epoca di guerra e sotto un regime fortemente autoritario.
(3) - È significativo come il codice penale militare di guerra sia stato lo strumento per la repressione di efferati crimini di guerra commessi durante l’ultimo conflitto. Essa contempla disposizioni che, poi recepite dal diritto umanitario, erano all’epoca all’avanguardia per la profonda civiltà giuridica sottesa. (4) - È noto che all’interno dei programmi dei numerosi corsi cui è sottoposto il personale militare nella sua carriera, trova uno spazio assolutamente minimo lo studio del diritto penale militare che si risolve, attualmente, in poche ore previste per gli ufficiali frequentatori del corso previsto per i comandanti di corpo per la specifica qualifica di organo di polizia giudiziaria militare. Fa eccezione l’Arma dei Carabinieri che ha istituito dal 2001, prima tra le Forze Armate, la cattedra di diritto militare nell’ambito della quale rientra l’insegnamento del diritto disciplinare impartito ormai da oltre 10 anni. (5) - Per il settore militare la disattenzione verso lo studio del diritto in genere era giustificata dalla concezione, ormai ampiamente superata, del settore militare quale ordinamento a sé, nel quale non necessariamente le disposizioni dell’ordinamento giuridico statale riflettevano efficacia diretta, occorrendo che le stesse venissero fatte proprie dallo specifico ordinamento attraverso proprie disposizioni.
(6) - Sulla “distrazione” del legislatore nei confronti del settore penale militare si è più volte espressa la dottrina e lo stesso apparato giudiziario militare, attraverso la voce del Procuratore Generale presso la Corte Militare di Appello, nelle relazioni all’inaugurazione dell’anno giudiziario militare. Nessun altro settore della pubblica amministrazione può lamentare la stessa disattenzione del legislatore che può vantare il settore penale militare. Si pensi, ad esempio, alla riforma del codice di procedura penale che non ha tenuto in alcun conto la realtà della giurisdizione penale militare, determinando la necessità che fosse la giurisprudenza a calibrare il riverbero nel rito militare delle disposizioni dettate dal codice di procedura penale per il rito ordinario; ovvero si pensi alle disposizioni sulle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che hanno trovato applicazione nel rito militare solo dopo diversi anni e grazie all’intervento della Corte Costituzionale.
(7) - Si pensi ai denunciati abusi di militari italiani nei confronti di civili somali durante l’operazione internazionale in Somalia, ovvero all’incidente nei Balcani in cui trovarono la morte militari italiani durante un’esercitazione di sbarco notturno da elicottero.
(8) - Il riferimento è, ad esempio, alle regole della ripartizione della giurisdizione tra il giudice penale ordinario ed il giudice penale militare, con riferimento a reati contro la persona previsti e puniti dal codice penale militare. Si pensi alle lesioni personali tra militari che, dopo la riforma del 1956, se dolose, sono soggette alla giurisdizione militare, mentre se colpose sono soggette a giurisdizione ordinaria, non essendo previsto il reato di lesioni colpose come reato militare. Si pensi altrimenti al “danneggiamento colposo di beni dell’amministrazione militare”, che criminalizza qualsiasi danno cagionato ad un bene dell’amministrazione a prescindere dal valore del bene e dall’intensità della colpa, finendo per punire quale reato anche il mero incidente stradale senza feriti ma con danni ai mezzi.
(9) - Sono attualmente all’esame del Senato due disegni di legge di modifica del codice penale militare di pace e di guerra e precisamente il disegno di legge n. 1533, di iniziativa dei Senatori Nieddu, Brutti Massimo, Forcieri, Pascarella e Svanisci, comunicato alla Presidenza il 25 giugno 2002, ed il disegno di legge delega n. 2493, presentato dal Ministro della Difesa, on. Martino, di concerto con il Ministro della Giustizia, on. Castelli, comunicato alla Presidenza il 23 settembre 2003.
(10) - La scelta del legislatore è stata quella di non provvedere ad una redazione ex novo dei codici penali militari, ma piuttosto di novellare quelli esistenti, in modo da conservare l’impianto di base, considerato di eccellente fattura tecnica, e conservare peraltro il c.d. diritto vivente formatosi negli anni su detto impianto.
(11) - Abbiamo già ricordata la fondamentale legge 23 marzo 1956, n. 167, con la quale si è avuta una modifica del c.p.m.p. con l’abolizione dei c.d. reati militarizzati e la conseguente restrizione della sfera di operatività della giurisdizione penale militare.
(12) - Con riferimento alle pene previste dalla legge penale militare va ricordato che il D.Lvo 22 gennaio 1948 , n. 21 ha abrogato la pena di morte per i reati previsti dal codice penale militare di pace e che la legge 13 ottobre 1994, n. 589, ha abrogato la pena di morte anche dalle leggi militari di guerra.
(13) - Contiguità determinata dalla sostanziale protezione del bene giuridico della coesione ed efficienza delle Forze Armate, operata sia dal diritto penale militare, sia dalla disciplina militare, ancorché a livelli diversi. Sul punto sia consentito rinviare a BOURSIER NIUTTA - ESPOSITO, Elementi di diritto disciplinare militare, Laurus, 2002, pag. 39. Vedasi anche: S. RIONDATO, in Il Nuovo ordinamento disciplinare delle Forze Armate, Cedam, 1999, pag. 202, che afferma “l’intima connessione, pur nella diversa funzionalità, delle due materie”.
(14) - Tra essi la procurata evasione militare (art. 126 c.p.m.p.), i reati di duello (artt. da 200 a 210 c.p.m.p.) la diffusione di particolari notizie di interesse militare (art. 75 c.p.m.g.) e la violazione per codardia dei doveri militari (art. 118 c.p.m.g.).
(15) - Si potrebbe immaginare addirittura un sistema disciplinare strutturato secondo principi di garanzia para-penalistici, che affidi ai comandanti di corpo l’amministrazione della disciplina inerenti le trasgressioni più lievi, mentre per le più gravi preveda il giudizio di un organo terzo, organizzato a livello centrale interforze, non necessariamente composto da soli militari. Il giudizio di tale organo terzo potrebbe inoltre essere strutturato attraverso un procedimento che preveda maggiori garanzie, anche mutuate dal sistema processuale penale (indipendenza e terzietà del giudicante, parità tra accusa e difesa, possibilità di assistenza tecnica al militare assoggettato al procedimento, ecc. ecc.). Un tale sistema comporterebbe la possibilità di assicurare ampie garanzie all’interessato, giustificate dalla possibilità di irrogazione di sanzioni disciplinari anche gravi quali la sospensione dallo stipendio e dal servizio per un periodo determinato, la rimozione, o anche sanzioni pecuniarie parametrate allo stipendio percepito.
(16) - Appare opportuno sottolineare che un moderno sistema disciplinare non può più essere fondato su sanzioni anacronistiche e impossibili quale la consegna. Essa, se da una parte aveva senso quando il militare era costretto all’interno della caserma per tutto il tempo del suo servizio militare, per cui la privazione della possibilità di fruire di libera uscita comportava una concreta sofferenza idonea a porsi quale deterrente rispetto a comportamenti contrari alla disciplina, è del tutto anacronistica oggi che lo stesso istituto della libera uscita (peraltro mai esistito per gli Ufficiali e dal 1986 neanche per i Marescialli), è stato abolito per gran parte dei militari di carriera ancorché di grado inferiore, quali Carabinieri, Guardie di finanza ecc., fatto salvo il periodo di frequenza dei corsi di formazione. La stessa inoltre, definita dalla legge di principio quale “privazione della libera uscita” è palesemente impossibile nei confronti del personale non previsto dall’art. 46 RDM quale destinatario dello specifico istituto, non potendosi privare un soggetto di qualcosa che non gli appartiene. Ed anche l’interpretazione secondo la quale per il personale militare non compreso tra quello che fruisce di libera uscita, la sanzione della consegna comporta l’obbligo di permanere in caserma o nel proprio alloggio per il tempo durante il quale gli altri militari fruiscono di libera uscita, non appare corretta. Essa infatti modifica sostanzialmente la natura della sanzione che da titolo idoneo a negare un’autorizzazione (la libera uscita appunto), si tramuta in titolo di coercizione, sia pure solo della volontà più che della persona fisica. Un moderno sistema disciplinare deve allora disancorarsi totalmente dal passato ed individuare nuove sanzioni, mutuandole da altri sistemi disciplinari o elaborandone di nuove, sulla falsariga ad esempio di quelle previste dalla disciplina militare di stato. (17) - S. RIONDATO, Commento all’art. 26 RDM in: Il Nuovo ordinamento disciplinare delle Forze armate, Cedam, 1995, pagg. 204 ss.
(18) - Sul punto inerente la possibilità o meno di considerare violata consegna un comportamento trasgressivo di disposizioni contenute in disposizioni generali disciplinanti una tipologia di servizi, dottrina e giurisprudenza si sono divise tra chi ha ritenuto sussistere il reato a prescindere dalla espressa indicazione delle dette prescrizioni nel documento costituente la consegna, e chi ha invece ritenuto necessario che dette disposizioni fossero riportate o almeno richiamate espressamente nel documento. In ordine al contenuto, si rileva come la giurisprudenza abbia talvolta ritenuto foriera di responsabilità penale anche il comportamento diverso da quello previsto dalla consegna, ancorché non si ponga in contrasto con la finalità del servizio, talaltra affermata la necessità che le trasgressioni rilevanti ai fini della sussistenza della fattispecie riguardino prescrizioni direttamente e sostanzialmente inerenti il conseguimento del fine proprio del servizio cui sono preordinate.
(19) - Sulle problematiche inerenti il reato di cui all’art. 120 c.p.m.p. si veda il commento diffuso e puntuale di F. UFILUGELLI in D. BRUNELLI e G. MAZZI, Codici Penali Militari, rassegna di giurisprudenza e dottrina, Giuffrè, 2001, pag. 294 ss.
(20) - Forse è il caso di rilevare che seguire pedissequamente, significa letteralmente seguire come un caprone, senza nessun apporto personale. (21) - Peraltro il Regolamento di disciplina militare già prevede quale grave mancanza disciplinare, punibile con consegna di rigore, i “Danni di rilevante entità procurati ai materiali e ai mezzi dell’amministrazione militare”, come sancito dal n. 24 dell’allegato “C”, seconda ipotesi. (20) - Forse è il caso di rilevare che seguire pedissequamente, significa letteralmente seguire come un caprone, senza nessun apporto personale.
(21) - Peraltro il Regolamento di disciplina militare già prevede quale grave mancanza disciplinare, punibile con consegna di rigore, i “Danni di rilevante entità procurati ai materiali e ai mezzi dell’amministrazione militare”, come sancito dal n. 24 dell’allegato “C”, seconda ipotesi.
(22) - Pensiamo, ad esempio, a sanzioni di carattere economico proporzionate allo stipendio, o sanzioni di sospensione dal servizio e dalle funzioni per periodi anche superiori ai dodici mesi, fino alla rimozione.
(23) - Nell’ambito della separazione dell’attività amministrativa politica da quella amministrativa di gestione, sembra possibile la realizzazione di quanto proposto da S. BRUNO, La competenza disciplinare di corpo, DIRITTO MILITARE, n. 2/3 anno 2002, pag. 79 ss., di affidare l’adozione dei provvedimenti sanzionatori più gravi ad un organo collegiale costituito a livello centrale che potrebbe peraltro essere composto di personale giuridicamente qualificato, sia militare che non. Ciò consentirebbe, oltre alla realizzazione degli obiettivi proposti dall’autrice, una garanzia del militare validamente proporzionata alla maggior incidenza delle sanzioni disciplinari nella sua sfera personale. (24) - La disciplina di stato risente della concezione di una amministrazione militare “padrona” dello strumento amministrato, inteso quale organizzazione di uomini e mezzi.
(25) - La disciplina di corpo risultante dalla legge 382/78 e dal regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 545/86 è chiaramente modulata su una concezione funzionale che fa riferimento non già alla qualità militare ed alle esigenze che ne derivano, quanto invece allo svolgimento di un servizio militare obbligatorio e sostanzialmente del tutto temporaneo.
(26) - Si pensi al pericolo che può derivare alla disciplina da comportamenti ed iniziative assunte da personale militare in sostanziale elusione delle precise limitazioni imposte all’esercizio di taluni diritti costituzionali. Comportamenti quali quelli di costituire associazioni che dietro vari paraventi sono sostanzialmente e dichiaratamente finalizzate alla tutela sindacale, costituiscono un concreto pericolo per la disciplina. Particolarmente, poi, in un sistema quale quello militare totalmente privo non solo di regole per la corretta dialettica sindacale, ma anche dello specifico bagaglio di esperienze e conoscenze necessario per gestire le sottese problematiche. In altre parole il divieto di attività sindacale nelle Forze armate (sulla cui necessità si può anche non concordare) rende critica, in termini di pericolosità e di gestione, qualunque azione posta in essere in sostanziale elusione del divieto stesso, mancando qualsiasi strumento proporzionato alla necessità di tutela della struttura. Attualmente l’unica sanzione possibile per detta elusione, sorvolando sulle sanzioni di corpo del tutto inidonee a contrastare il fenomeno, sarebbe la rimozione per grave violazione dei doveri dello status di militare. Ma non v’è chi non veda che detta sanzione finirebbe con il punire in maniera troppo rigida il militare per comportamenti che possono costituire un pericolo per la disciplina solo nella loro persistenza, sicché sembra assolutamente sproporzionata detta sanzione per fatti che sono stati tollerati e protetti anche da partiti e movimenti politici.
(27) - Deve considerarsi che la disciplina militare, per il fatto di tutelare, sia pure mediatamente, un bene apicale quale l’esistenza stessa dello Stato e delle sue libere istituzioni, non può essere modellata su istituti afferenti altri sistemi disciplinari in quanto nessun altro settore mira alla tutela di un bene di pari livello. Il problema allora non è quello di rendere la disciplina meno rigida, bensì quello di rendere l’amministrazione della stessa, da una parte meno frammentata e contraddittoria, e dall’altra più oggettiva e rispettosa dei principi e delle regole dell’ordinamento giuridico, in altre parole meno contenziosa.