
- L'utilizzo principale della legna derivante dai filari era legato alla produzione di oggetti o all'impiego come combustibile. Al contempo i filari svolgevano sia funzioni idrogeologiche sia di confinamento.
I filari campestri vetusti e capitozzati presenti negli agroecosistemi di pianura sono formazioni arboree attualmente composte prevalentemente da esemplari di
Salix e
Populus e possono essere considerate elementi relittuali delle formazioni di noci, pioppi, salici, gelsi e ontani che, ad esempio, suddividevano i campi nella pianura del Cuneese nei primi decenni dell’Ottocento.
Le attitudini principali di questi filari erano rappresentate dalla produzione di legna da ardere e di piccola paleria (tutori per orticoltura famigliare), manici per attrezzi agricoli manuali e materiali per legare e costruire contenitori (vimini) e, nel caso del gelso, alimenti per le larve del baco da seta. Nel contempo essi svolgevano funzioni idrogeologiche quali il consolidamento delle scarpate di fossi, scoline e canali interpoderali e di tutela dei diritti reali essendo impiantati, spesso, quale prova apparente (termine), con finalità di delimitazione dei confini di proprietà.
La presenza dei filari campestri, almeno fino agli anni Sessanta del Novecento, rappresentava per le aziende agricole un fattore produttivo secondario a basso costo, in quanto non sottraeva superfici alle coltivazioni principali, e poli-attitudinale.
Queste formazioni attualmente caratterizzano fortemente il paesaggio agrario della Pianura Padana e spesso mettono in risalto la tipica frammentazione fondiaria del territorio rurale nazionale oltre ad essere, ad oggi, le uniche formazioni arboree presenti negli agroecosistemi a frequente conduzione monocolturale rappresentando, di conseguenza, un reservoir per molte specie di artropodi e validi corridoi ecologici per l’avifauna e la fauna selvatica in genere. L’eventuale ombreggiatura dei filari sui corsi d’acqua sottostanti, anche presenti in modo non continuativo, rappresenta inoltre occasione di biodiversità favorendo comunità microbiche, vegetali e di microfauna assenti nel territorio circostante.
IL VALORE ECOLOGICO
L’importanza dei vecchi filari campestri presenti negli agroecosistemi è data in particolare dai processi degenerativi del legno quali conseguenza diretta del sistema di gestione arbocolturale. La tecnica della capitozzatura e le ripetute potature determinano la formazione di una “testa di salice” la quale va incontro a processi degenerativi (legati principalmente ad infezioni fungine) che esitano con la formazione di una carie. Inizialmente la carie interessa la parte sommitale del fusto determinando la formazione di un “catino” per poi estendersi in senso longitudinale fino a interessare tutto il fusto.

Una pattuglia di Carabinieri forestali impegnata nel controllo del territorio.
Il legno deperente e il materiale umifero presente all’interno delle carie rappresentano un substrato ideale per lo sviluppo di molte specie di coleotteri saproxilofagi e xilosaprofagi ed in particolare di Cetonidi, tra cui
Osmoderma eremita, specie a priorità di conservazione inserita nella Direttiva Habitat della Commissione Europea n. 92/43/CEE recepita in Italia con DPR n. 357 dell’8 settembre 1997, nella lista rossa nazionale e in molte liste rosse regionali. Altre specie di scarabeidi facilmente reperibili, allo stadio larvale, all’interno dei fusti cariati sono
Dorcus parallelipipedus (Lucanidi),
Oryctes nasicornis (Dinastidi),
Cetonia aurata,
Potosia cuprea e
Liocola lugubris (Cetonidi).
Oltre alle specie precedentemente citate, all’interno di questi esemplari arborei, è possibile riscontrare un elevato numero di specie di artropodi che talvolta sfruttano il contesto anche solo quale sito di svernamento/ibernamento.
In molti agroecosistemi, in particolare quelli di pianura non prossimi ad aree boschivoforestali, i filari vetusti rappresentano micro-habitat che permettono la sopravvivenza, nei contesti agrari, di specie che altrimenti non troverebbero condizioni idonee per il loro sviluppo.
CAUSE DELLA RAREFAZIONE
La scomparsa di interi chilometri di vecchi filari campestri è principalmente dovuta al fatto che sono venute meno le necessità umane, tipiche di un’agricoltura pressoché di sussistenza, che ne avevano dettato l’impianto. In particolare è cessata la domanda da parte delle aziende di vimine e di legnatico e, al contempo, la sempre maggior meccanizzazione vede queste formazioni arboree come un intralcio alla manovrabilità dei macchinari; altre cause della rarefazione, molto importanti, sono l’intubazione dei fossi e dei canali di irrigazione o la loro pulizia meccanizzata attraverso scavafossi. Un’ulteriore causa che spesso determina l’abbattimento dei vecchi alberi, ossia quelli che hanno il maggior potenziale ecologico, è la necessità di garantire la sicurezza essendo esemplari spesso posti sui confini delle strade, molto deperenti e a rischio schianto.
La completa scomparsa o la rarefazione dei filari campestri sono quindi figlie di una polifattorialità di cause agronomiche economocentriche che non tengono conto dei “servizi ecosistemici” che essi svolgono negli agroecosistemi, facendo sì che a seguito degli abbattimenti non siano impiantati nuovi filari portando, di anno in anno, il “bilancio” arboreo nei coltivi in negativo.
LA NECESSITÀ DI TUTELA
La tutela dei vecchi filari campestri è una necessità quanto mai urgente considerato
che la formazione delle cavità e la conseguente “maturazione” del rosume presente all’interno richiedono decenni prima che risultino idonee ad essere colonizzate dalle specie di insetti maggiormente esigenti quali, ad esempio, Osmoderma eremita che richiede cavità con un volume di rosume e di detriti legnosi degradati maggiore a 4.000 centimetri cubi.
Negli agroecosistemi, come già detto in precedenza, i filari di alberi senescenti rappresentano spesso degli unicum e la loro distruzione può comportare l’estinzione locale di popolazioni di specie strettamente associate, almeno per parte del ciclo vitale, alle cavità arboree come accade per Osmoderma eremita. L’insetto trova proprio nei vecchi alberi ben esposti, presenti nei filari campestri, l’unico habitat idoneo al suo sviluppo al di fuori dei boschi planiziali. La presenza in un dato filare campestre di una specie inclusa nella Direttiva Habitat potrebbe costituire una importante occasione di tutela giuridica, tuttavia non si può non sottolineare come il generale contesto legislativo non attribuisca particolare priorità a tale prezioso elemento storico e naturalistico del paesaggio agrario.
La conservazione, ovviamente, non dovrebbe solo passare attraverso il mantenimento degli alberi esistenti, ma sarebbe necessario procedere alla creazione di nuovi filari al fine di garantire un naturale turnover delle piante mature e un flusso di colonizzazione da parte dell’artropodo-fauna tipica.