Gianluca Tiberti

Quando si dice un atleta completo

 

Medagliere

Superman, o qualcosa del genere. Un campione di pentathlon - più di qualunque altro sportivo - deve avere, pressappoco, le doti di un eroe dei fumetti: deve saper cavalcare e tirare di scherma, correre come una gazzella e nuotare come un pesce. E deve saper tirare al bersaglio, con la mira di Clint Eastwood negli spaghetti western. Cinque discipline sportive una diversa dall'altra, diversissime. Ci sono altri atleti che teoricamente dimostrano una versatilità ancora maggiore: i decatleti, che di gare ne fanno dieci, e non cinque. Ma sono tutte prove di atletica: corse, salti, lanci. Tutte sul tartan di uno stadio olimpico, sulle piste o sulle pedane.
Il pentathlon è un'altra cosa. È la capacità di emergere in discipline che non hanno alcun punto di contatto una con l'altra. Le qualità di un tiratore scelto sono persino antitetiche con quelle di un campione di nuoto, e un cavaliere alla Raimondo D'Inzeo, elegante e impeccabile mentre supera gli ostacoli, non ha niente a che vedere con l'immagina di fatica che offre un atleta impegnato in una corsa campestre.

Tiberti nella corsa campestre.Gianluca Tiberti è tutto questo: superman in versione sportiva, senza la criptonite e la missione di salvare il mondo da improbabili lestofanti ultraterrestri.
Il suo trionfo memorabile risale al 1990, campionati del mondo di Lahti, in Finlandia.
Molti italiani avevano scoperto il pentathlon qualche anno prima, con la vittoria olimpica di Daniele Masala. Tiberti - a parte gli specialisti - non lo conosceva nessuno. Aveva già vinto l'argento a squadre alle Olimpiadi di Seul, con Masala e Massullo. Ma il pentathlon non è il calcio, o il ciclismo, o persino l'atletica, dove una medaglia garantisce la notorietà.
Tiberti impegnato nella prova di scherma.Il pentathlon è uno sport povero, e per avere l'onore di una prima pagina, la medaglia deve essere d'oro (e alle Olimpiadi). Niente sconti, per chi sceglie la versatilità. A Lahti, Tiberti fece il fenomeno. Nuotò i trecento metri in 3 minuti e diciotto secondi, colpì 190 bersagli su 200, vinse una quarantina di stoccate su sessanta nella scherma, corse la campestre di 4mila metri in 13 minuti e 56 secondi, fece percorso netto sui quindici ostacoli della prova di equitazione. Totale: con 5.441 punti nella tabella che allora misurava i risultati del pentathlon (poi è stata cambiata, e sono cambiate anche le prove) conquistò la medaglia d'oro con 41 punti di vantaggio sul secondo classificato, il sovietico Anatoli Starostin, e 42 sul terzo classificato, il cecoslovacco Milan Kadlek.
La sera, niente festeggiamenti. Il giorno dopo era in programma la staffetta, e non erano ammesse distrazioni.
«Passai ugualmente la notte in bianco, per l'emozione», ricorda oggi Tiberti: «continuavo a rigirarmi nel letto come una salsiccia, perché una medaglia d'oro è comunque una medaglia d'oro».
Nella staffetta del giorno successivo l'Italia conquistò il bronzo, che si aggiunse all'argento della prova a squadre.
Gianluca, dunque, tornò a Roma, che è la città in cui è nato e in cui vive, con tre medaglie al collo, un oro, un argento e un bronzo, il campionario completo.

Tiberti con il generale Antonio Viesti, allora Comandante Generale dell'Arma.Che fosse destinato a grandi successi, i suoi allenatori l'avevano capito fin dall'inizio. Nel 1981, quando aveva quattordici anni, nella sua prima gara si laureò campione italiano. A quell'età non si disputano ancora le prove di scherma e di equitazione: il programma prevede soltanto la corsa, il nuoto e il tiro con la pistola. Gianluca era entrato per la prima volta in un poligono un mese prima: e vinse la gara di tiro. Predisposizione, dicono gli esperti in casi del genere.
A sedici anni si classificò quinto nel campionato mondiale juniores, e a ventuno - alla sua prima Olimpiade (Seul) - conquistò l'argento a squadre.

Tiberti sul podio dei Mondiali Militari.Fino al 1988 (l'anno di Seul) le gare di pentathlon si svolgevano nell'arco di cinque giorni (un giorno per ogni disciplina sportiva). La corsa campestre si disputava sulla distanza di 4mila metri, il nuoto sui 300 metri, il tiro prevedeva 20 colpi a un bersaglio con sagoma mobile collocato a 25 metri di distanza. La gara di scherma prevedeva un girone all'italiana (una stoccata per turno) contro tutti gli altri atleti in gara. L'equitazione, infine, era su un percorso con 15 ostacoli per complessivi 18 salti. Due prove richiedevano (e richiedono tutt'ora) doti specifiche di tenuta nervosa: la scherma e l'equitazione. Nella scherma (spada) l'unico assalto contro tutti gli altri atleti non consente di studiare l'avversario, ma impone grande varietà di colpi e straordinaria determinazione. Nell'equitazione, il concorso viene disputato con il sorteggio dei cavalli, il che non permette di raggiungere il necessario affiatamento fra cavaliere e cavallo.

Gianluca Tiberti sugli ostacoli. Le doti indispensabili per emergere in una disciplina così complessa- «La scherma», dice Tiberti, «richiede grandi capacità tattiche. Il tiro una straordinaria concentrazione. L'equitazione duttilità e senso di adattamento (considerando anche il sorteggio). Il nuoto e la corsa grinta e sofferenza». Occorre più testa o muscoli- «Testa, senza dubbio». Un equilibrio nervoso a prova di bomba, inossidabile alle delusioni che si incontrano, inevitabilmente, in ogni gara. Ed è forse significativo il fatto che la maggior parte dei campioni espressi da questo sport provengano - e non soltanto in Italia - dai centri sportivi militari. Disciplina ferrea, niente divismi, attitudine alla fatica, capacità di superare gli ostacoli (anche in senso figurato).
Qualche cosa è cambiato da quando Tiberti partecipò alle prime gare, ma a ben vedere i cambiamenti non hanno rivoluzionato il panorama.
Nel 1990 il programma del pentathlon subì un primo mutamento, con la divisione delle gare in tre giorni: il primo giorno era riservato alla scherma, il secondo al nuoto e al tiro, il terzo all'equitazione e alla campestre. Dal 1992 le Olimpiadi e i Mondiali si disputano in un solo giorno, con l'accesso riservato a 32 atleti in tutto. Dal 2000 il campo è stato ulteriormente ristretto a un ranking di 24 atleti in totale. Le gare, di conseguenza, sono state alleggerite. In piscina ci si misura sui 200 metri, nella campestre sui 3000 metri, la gara di tiro prevede 20 colpi (aria compressa) a un bersaglio fissato a 10 metri. La scherma, logicamente, prevede soltanto 23 assalti. La prova equestre è su 10 ostacoli per complessivi dodici salti. Difficile dire se sia più dura oggi o fosse più dura allora. La versatilità è sempre indispensabile. Adesso occorre maggior resistenza alla fatica, e - di conseguenza - possono contare un pizzico in meno le qualità tecniche.

Tiberti con Masala e Massullo, medaglia d'argento a squadre a Seul, nel 1988Tiberti ha smesso di gareggiare. L'ultima gara ufficiale l'ha disputata in Ungheria nel 2000, ai Campionati Europei. Nel frattempo, si è laureato in Scienze Motorie all'Università di Tor Vergata. È appuntato scelto nell'Arma, allenatore della squadra nazionale di equitazione per il pentathlon e ha fatto parte a lungo dello staff tecnico per il Centro Sportivo Carabinieri.
È rimasto legatissimo all'Arma, e non soltanto per ragioni istituzionali.
Nel 1986 era stato già contattato da altri gruppi sportivi, ma si arruolò nei carabinieri perché, racconta, «era affascinato dall'uniforme». Aggiunge: «L'ho sempre indossata, quando ho potuto».
Gianluca Tiberti impegnato nel poligono. Vinse la prima gara di tiro alla quale prese parte.Giudica estremamente positivo, da ogni punto di vista (umano, professionale, sportivo) il suo rapporto con i Carabinieri e con tutti gli altri atleti del Centro Sportivo. Ricorda ancora con grande emozione l'incontro che ebbe nel 1991 con altri due formidabili atleti dell'Arma: Alberto Tomba e Mauro Numa. «L'Arma», dice, «è stata straordinaria nel comprendere le mie esigenze di atleta e nel lasciarmi la disponibilità di tempo necessaria per allenarmi». Prima atleta o carabiniere- «Mi sento un atleta carabiniere. Sono orgoglioso della divisa, e sono altrettanto fiero dei risultati che ho ottenuto nello sport. Non sono mai riuscito a operare una distinzione fra i due ruoli».
Ha un solo rammarico: non aver partecipato (per ragioni tecniche) alle Olimpiadi di Barcellona e di Atlanta.
È sicuro che anche in quelle occasioni avrebbe potuto dare un contributo importante (e forse decisivo) alla squadra di pentathlon.
Nell'anno 2000, tanto per tenersi in esercizio e dimostrare ancora una volta la sua versatilità, si è classificato terzo nei campionati italiani a squadre di scherma (insieme con Confalonieri e Bossolino). Superman, appunto.